“Un canto salverà il mondo”, il libro di Francesco Lotoro sulla musica scritta nei lager: «La mia sfida è farla suonare ancora»

“Un canto salverà il mondo”, il libro di Francesco Lotoro sulla musica scritta nei lager: «La mia sfida è farla suonare ancora»
di Francesca Nunberg
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Lunedì 17 Gennaio 2022, 16:15

Per fare musica ci vuole l’anima. E una ferrea volontà: nel 1938 nel lager di Dachau l’austriaco Herbert Zipper, con l’aiuto di deportati falegnami, costruì 14 strumenti musicali e assemblò un’orchestra clandestina che la domenica pomeriggio si esibiva in una latrina inutilizzata del campo. Ma ci sono anche le partiture cucite nella fodera del cappotto, quelle nascoste nella biancheria sporca delle infermerie, i concerti scritti sui sacchi di juta per la spalatura del carbone, i fili dei freni delle jeep usati come corde per violini e chitarre, gli inni religiosi segnati sul terriccio dei campi di patate durante i lavori forzati che la sera venivano ricostruiti a memoria in camerata e stesi sulla carta igienica.

Per ritrovare questa musica serve altrettanta determinazione: Francesco Lotoro, pianista, compositore e direttore d’orchestra, 57 anni, da trentatré recupera la musica scritta nei campi di concentramento e di prigionia civili e militari tra il 1933 (apertura di Dachau) e il 1953 (morte di Stalin). La sua fatica, che ha portato finora al recupero di oltre ottomila partiture, alla creazione di una Fondazione, alla pubblicazione del primo di dodici volumi dell’enciclopedia Thesaurus Musicae Concentrationariae, al film Maestro del regista franco-argentino Alexandre Valenti, al progetto della Cittadella della Musica Concentrazionaria a Barletta (sua città natale), adesso è diventato un libro. Uscirà il 20 gennaio da Feltrinelli, Un canto salverà il mondo - 1933-1953: la musica sopravvissuta alla deportazione, che verrà presentato in Senato in occasione del Giorno della Memoria. Il fine di Lotoro è sì quello di rintracciare e studiare questa musica spesso frammentaria, ma soprattutto quello di suonarla e registrarla. Un’impresa epica, un modo del tutto nuovo di raccontare i capitoli più bui del Novecento «effettuando una riparazione storica e artistica nei riguardi di questa gigantesca incompiuta della storia dell’uomo».


«Nell’88 avevo 24 anni quando fui ammesso all’Accademia di Musica F. Liszt di Budapest - racconta l'autore - Studiavo pianoforte con grandi maestri e avevo libero accesso ad archivi e biblioteche, mi spingeva il desiderio di sapere tutto. Comprai a rate il Dizionario enciclopedico della Musica della Utet, lo lessi tutto e trovai una trentina di biografie di musicisti ebrei deportati, cominciai le mie ricerche e i nomi diventarono trecento, poi tremila... Oggi posso dire che su 100 persone rinchiuse in un campo di prigionia, almeno 50 hanno a che fare con la musica, come amatori, cantanti, solisti, compositori, arrangiatori, e la metà di questi sono professionisti. Ma i grandi nomi la strada se la tracciano da soli, io invece voglio scavare nel sottobosco: se metti un violino in mano a un rom, certo non è mai stato in conservatorio, ma da quello strumento fa uscire una musica meravigliosa».


Così, con l’aiuto della moglie Grazia Tiritiello, della produttrice Donatella Altieri, del maestro Paolo Candido e di altri amici («pochi, rispetto alla mole di lavoro che ancora c’è da fare, servirebbe aiuto dalle istituzioni, dalle università, servirebbero fondi e c’è poco tempo...») Lotoro ha dato il via a questa impresa titanica, ora condensata nel libro. «Non sapevo che vita e ricerca sarebbero diventate tutt’uno - dice - se poi mi fossi occupato solo dei musicisti ebrei avrei già finito, ma ho allargato il campo e il database è sterminato».
Così trovi la storia del campo di Chungkai in Thailandia dove, tra gli undicimila prigionieri impegnati nella costruzione dei due ponti sul fiume Kwai, c’era il tenente britannico Norman Smith, trombettista e direttore dell’orchestra dei prigionieri, che lì scrisse un Bolero per 2 violini, clarinetto, 2 trombe e chitarra intitolato
The Exiles.

Ci sono gli incontri che l’autore ha avuto, come quello nel 2016 a Gerusalemme con Alex Tamir (che sarebbe poi morto 3 anni dopo): «Lo chiamo l’uomo dalla doppia vita: nel 1943 aveva 11 anni, si chiamava Alexander Wolkovsky e scrisse la canzone “Shtiler, shtiler , sopravvisse alla deportazione e dopo la guerra emigrò in Israele, cambiò il cognome e riprese gli studi pianistici». Altro incontro con Ivan Karel, seconda generazione in quanto figlio del pianista Rudolf Karel, arrestato nel 1943 dalla Gestapo e incarcerato nella prigione di Pankrác dove compose una serie di opere scrivendo con la carbonella vegetale su fogli di fortuna. Il sovrintendente del penitenziario Müller trasferiva segretamente fuori dal carcere quei fogli pieni di musica, scoperto fu arrestato e torturato. Karel lasciato febbricitante all’addiaccio morì nel 1945 presumibilmente per ipotermia.

Nel libro si narra anche l'incredibile storia di Aleksander Kulisiewicz, polacco di Cracovia, che da ragazzo studiò da autodidatta canto e chitarra e nel 1939 fu arrestato dalla Gestapo e rinchiuso nel lager tedesco di Sachsenhausen. Qui si esibì in recital clandestini che diedero un forte sostegno psicologico ai suoi compagni di prigionia, sopravvisse a esperimenti medici sulla difterite che gli danneggiarono parzialmente le corde vocali e, dotato di una memoria prodigiosa, dopo la liberazione fu ricoverato in un ospedale di Cracovia per tubercolosi e, aiutato dagli infermieri, stese su carta 716 canti e materiale poetico in quattro lingue memorizzato durante i cinque anni di prigionia. E ancora, la poetessa e autrice di canzoni per bambini Ilse Weber, internata col il figlio a Theresienstadt dove morì gasata il 6 ottobre 1944, ma il cui materiale musicale e poetico composto nel campo venne nascosto nel maneggio e poi recuperato dal marito dopo la guerra.

E ci sono anche storie italiane: l’organista di Pesaro Pietro Maggioli fatto prigioniero dopo l’armistizio nei lager compose un Cantico delle Creature e la Preghiera del Prigioniero per coro maschile e orchestra. Poi c’è la vicenda della canzone Stella del Porto”, creata sullo stile dello stornello romano a Regina Coeli, dove furono imprigionati ebrei romani dopo il rastrellamento del 16 ottobre 1943, che accusava di delazione tale Celeste Di Porto detta Stella. Di questa melodia si era persa completamente traccia, ma grazia a un tam-tam lanciato via email, Lotoro nel 2006 riuscì a recuperarla grazie a un amico, Cesare, che oggi vive in Israele la cui madre Ester era stata a Regina Coeli, si ricordava perfettamente la melodia e gliela cantò al telefono.


Come scrive Lotoro, «le musiche create in cattività sono sopravvissute ai loro autori per giungere a noi come meravigliosi uccelli fuggiti dalle gabbie per la salvezza delle nostre fondamenta umane». E continuano a suonare: il prossimo 24 gennaio l'autore presenterà il suo libro al Teatro Margherita di Bari dove il giovane musicista Paride Losacco eseguirà musiche composte nei lager. Con un violino particolare: quello che Lotoro ha recuperato due anni fa a Bay City (Michigan) a casa di Hanna Hillenbrand, vedova del violinista polacco Jon Stanisław Hillenbrand che suonava nell’orchestra di Auschwitz.

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