“La battaglia del Lago Trasimeno”: oggi in edicola con “Il Messaggero” il terzo libro della collana “Le grandi battaglie di Roma antica”

“La battaglia del Lago Trasimeno”: oggi in edicola con “Il Messaggero” il terzo libro della collana “Le grandi battaglie di Roma antica”
di Francesco Musolino
3 Minuti di Lettura
Venerdì 4 Giugno 2021, 07:43 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 13:20

La storia del mondo è scandita dal clangore delle armi. Celebriamo le vittorie ma è risaputo che solo dalle sconfitte si possono trarre insegnamenti. Oggi - in occasione del ciclo di pubblicazioni proposte da Il Messaggero ai propri lettori e dedicato a Le grandi battaglie di Roma Antica - giunge in edicola la terza uscita, La battaglia del Lago Trasimeno rievocando una sconfitta tragica. Si tratta di un momento chiave della seconda guerra punica (218-202 a.C.), uno scontro avvenuto il mattino del 21 giugno 217 a.C. presso le sponde nord-occidentali del Lago Trasimeno tra l'esercito romano - guidato dal console Gaio Flaminio Nepote - e quello cartaginese, condotto da Annibale Barca. Proprio per le sue capacità strategiche e la sua scaltrezza, Annibale era inviso ai romani, poiché questi rifuggivano dagli inganni e dalle tattiche menzognere, cercando una morte nobile in battaglia. A riprova di ciò, Tito Livio scrisse un celeberrimo ritratto del condottiero cartaginese, ricordandone il coraggio ma inchiodandolo per la crudeltà e la slealtà, come un uomo «che non ha nessun senso del vero, né del sacro». Annibale era doppio, sfacciato e menzognero, ecco perché questa sconfitta fu così penosa per i romani.


IL CAPOLAVORO

Nel libro di Nic Fields, da oggi in edicola (tradotto da Lorenzo Vecchi, impreziosito dalle tavole illustrate di Donato Spedaliere) ammiriamo il capolavoro del condottiero cartaginese che nel 218 a.C., prima valicò le Alpi e poi vinse alcuni scontri, stabilendosi sulla pianura padana mentre le sue fila crescevano sensibilmente grazie alla furia dei Celti.

Roma elesse due consoli Gaio Flaminio Nepote e Gneo Servilio Gemino, assegnandoli 25mila unità ciascuno per difendere l'Etruria, presidiare Rimini e scongiurare la discesa dei nemici verso Roma. Per sfuggire a questa tenaglia, Annibale scelse di attraversare le paludi dell'Etruria: fu una mossa ardita, perse uomini, bestie e vettovaglie (lo stesso condottiero, ci rimetterà un occhio per una infezione) ma giunto nella zona del lago Trasimeno, ordì una fatale imboscata. Decise di schierare i fanti pesanti in campo aperto per attirare i romani nella Val di Chiana mentre la cavalleria e i fanti Celti erano occultati dalla folta vegetazione della zona. E, infine, dietro la collina su cui lo stesso Annibale era schierato, portò la fanteria leggera per chiudere qualsiasi via di fuga. Come se non bastasse, la mattina del 21 giugno 217 a.C. anche la nebbia complicò la situazione e i Romani marciarono dritti nelle fauci del nemico, anche a causa della tracotanza di Flaminio che non mandò nemmeno un drappello in avanscoperta.

LE TRUPPE

Non appena le truppe romane si infilarono in trappola, i Celti li attaccarono piombando dalle colline mentre la cavalleria e la fanteria leggera li accerchiavano. Fu una battaglia estenuante di oltre tre ore che giunse ad un tragico epilogo quando Flaminio venne ucciso da Ducario, un cavaliere celtico. Fu una strage: solo 6 mila riusciranno a mettersi in salvo e il giorno dopo verranno catturati, stremati ma vivi. E sull'onda della disperazione, il senato romano nominò un dittatore, Quinto Fabio Massimo per mettere in salvo Roma ma giungendo al fatale scontro di Canne.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA