I contrasti, tenuti sotto traccia, sono stati innescati da un cavillo giuridico quando si è scoperto, dopo cinque anni, che la nomina del giornalista Felice Cavallaro nel 2015 come componente del consiglio di amministrazione della fondazione non era stata perfezionata. Il cda lo ha così tenuto fuori provocando reazioni garbate nella forma ma piccate nella sostanza. Cavallaro, giornalista del Corriere della Sera, è anche il promotore delle «strade degli scrittori» e l’ideatore di convegni su temi legati alla figura e all’opera di Sciascia (all’ultimo sul caso Moro ha partecipato poco prima della morte anche Massimo Bordin di Radio radicale). Cavallaro si è impegnato perché la fondazione aprisse le porte agli ambienti culturali, alle università e alle scuole, in linea con la visione stessa dello scrittore che auspicava lo studio delle sue carte da parte dei giovani. Tra quei documenti ci sono, tra l’altro, le corrispondenze con altri scrittori come Italo Calvino, Elio Vittorini, Pier Paolo Pasolini. Il progetto di Cavallaro ha però dovuto fare i conti sia con il ritardo nella catalogazione, ferma alla lettera M, delle carte di Sciascia che la famiglia considera solo «in deposito», sia con l’accusa velata di un «attivismo invasivo».
Il caso ha suscitato varie reazioni, tra cui quella del sindaco Vincenzo Maniglia, tutte pubblicate dal sito di “Malgrado tutto”, il giornale di Racalmuto promosso con l’incoraggiamento di Sciascia da un gruppo di giovani diventati poi giornalisti affermati. Nello scambio di polemiche è intervenuto per ultimo lo stesso Cavallaro il quale considera un pretesto il difetto formale sulla sua nomina, adottata dal consiglio comunale all’unanimità, e si dichiara oggetto di un «insolente schiaffo». «L’amaro epilogo di una delibera senza bollo - ha scritto - mi fa pensare a una contrapposizione che qualcuno vorrebbe strumentalmente spazzare via con una inedita forma di spoil system».
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