"La ballata della Città eterna": il romanzo a puntate sul Messaggero

"La ballata della Città eterna": il romanzo a puntate sul Messaggero
di Luca Di Fulvio
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Sabato 1 Agosto 2020, 10:04
Pietro, in piedi all'imboccatura di piazza del Popolo, guardava affascinato l'obelisco, le due chiese gemelle e le tre strade, una centrale e due ai rispettivi lati, leggermente oblique come i raggi di un sole.

«Benvenuti a Roma» disse Nella come una buona padrona di casa. «Rispettatela. Ma non aspettatevi che lei rispetti voi.» Sorrise, con una specie di dolcezza. «È bellissima. Ma è una puttana.» Poi tornò seria. «Vedrete le rovine del più grande impero del mondo. Ma sono rovine. Cose meravigliose, ma morte. Questa non è la città degli antichi Romani. Questa è la città del Papa. E state attenti anche a lui. Il Papa ci mette un attimo a dimenticare di essere Santo e Padre.» Pietro era a bocca aperta davanti a quell'assaggio di splendore.
«È bella questa piazza, vero, cavallino?» gli fece Nella.

«Meravigliosa» mormorò Pietro.
«È qui che vengono eseguite quasi tutte le pene di morte» disse lei con leggerezza. Pietro si irrigidì.
Nella rise. «Te l'ho detto che non devi fidarti di Roma.» Poi si voltò e risalì in carrozza. «Andiamo a cercare un appartamento che costi poco. Ma sali a cassetta.»
«Perché?» chiese Pietro.

«Sali a cassetta» ripeté Nella. Poi diede le istruzioni a Paride su quale percorso fare e oscurò i finestrini con le tendine. La carrozza imboccò la strada più a destra, via di Ripetta, la percorse tutta fino a uno slargo dove, abbandonato all'incuria, mangiato dalle erbacce ed eletto a regno di una colonia di gatti randagi, resisteva al tempo il mausoleo dell'imperatore Augusto. Costeggiando il porto di Ripetta, dove erano ormeggiate barche dalle vele latine di pescatori e di trasportatori, la carrozza si fermò, ostacolata da un grosso carico di cordame e tessuti che veniva scaricato a terra e sistemato su una serie di carri. Quando la strada fu sgomberata, proseguirono, sempre secondo le istruzioni di Nella, fino ad avvistare un ponte superato il quale, dall'altra parte, c'era Castel Sant'Angelo. «Siamo arrivati» annunciò allora Paride fermando i cavalli. Lo sportello della carrozza si aprì e ne discese Nella, con un vestito logoro e di un indefinibile colore tra il grigio e il marrone. Paride e Pietro sbarrarono gli occhi, vedendola. Ma lei non disse niente e guardò alla sua sinistra una viuzza stretta, che proseguiva in diagonale, piegando in direzione contraria al ponte. Pietro lesse: VIA DI PANÌCO. Le case, dall'aria vetusta e malandata, erano ammassate le une alle altre. C'era un puzzo di umanità che non aveva di che lavarsi, cibi avariati e immondizia abbandonata in mezzo alla strada.

Nella indicò dei palazzi ancora più alla sua sinistra. «Quella è la zona di Tor di Nona, meno costosa ancora» disse. «Ma è meglio se troviamo qui.» Senza attendere risposta fece segno a Pietro di seguirla e si infilò nella taverna d'angolo della piazzetta. Chiese di un appartamento in affitto e seppe che due case più in là un vecchio, che chiamarono Turacciolo, cercava un affittuario. Pietro era ancora sorpreso dall'abbigliamento della Contessa. Sembrava una serva.

«Piantala di guardarmi così» fece Nella senza bisogno di voltarsi. Poi si fermò e lo squadrò. «Se non ti è chiaro, siamo due fuggiaschi, cavallino.» Lo prese per le spalle e lo voltò verso il Tevere e Castel Sant'Angelo. Indicò una cupola alla sinistra della fortezza, che si ergeva maestosa oltre i tetti delle case. «Quello è San Pietro» gli disse senza più rabbia nella voce. Gli sorrise. «Hai un nome importante per Roma.» Poi scese verso la porta screpolata di un seminterrato, sul muro del quale era disegnata una rozza immagine votiva della Madonna. Bussò con vigore. L'uomo che venne ad aprire aveva più o meno sessant'anni, ma portati assai male. Pochi denti in bocca, dita contorte dall'artrite, schiena curva, gambe instabili.
«Siete voi Turacciolo?» chiese Nella, sapendo che si trattava di un soprannome, come d'abitudine per quasi tutti i romani.

«E voi sareste?»
«Affittate la casa?» Il vecchio si voltò verso l'interno dell'appartamento e quando tornò a guardare Nella aveva gli occhi velati di malinconia.
«Sì» disse semplicemente, fermo sulla porta. Come un baluardo.
«Perché?» chiese Nella.

«È 'na bella casa» disse con un moto d'orgoglio il vecchio. Nella comprese subito che amava quel posto. Immaginò che ci fosse nato. Che magari i suoi genitori fossero morti lì. O che l'avesse acquistato a costo di chissà quali sacrifici. E provò un'immediata simpatia per Turacciolo. «Lo vedo dai vostri occhi che è bella, senza bisogno che me la mostriate» disse. Quella frase colpì Turacciolo, che si afflosciò e si fece da parte, lasciandoli entrare.
Non era una bella casa. Anzi, era un miserabile seminterrato buio. La luce entrava a malapena da due minuscole finestrelle al livello della strada. Oltre alla luce, pensò Pietro, solo un gatto sarebbe riuscito a infilarsi in quelle feritoie. Si trattava di un'unica stanza, con il pavimento in cotto rosicchiato e sbrecciato dal tempo. In fondo una porticina faceva pensare a una latrina che di sicuro scaricava direttamente nelle fogne sottostanti, come faceva supporre l'odore che aleggiava nell'aria. Il soffitto era particolarmente basso poiché era stato costruito un soppalco con delle grosse travi di castagno, più in alto delle finestrelle, al quale si accedeva tramite una scala. Turacciolo indicò il soppalco. «Arrivata la vecchiaia, scendere e salire quelle scale è come mette li ginocchi in mano al macellaro quanno li taja pe' ffa er brodo» disse scuotendo il capo. «Io e la mi' povera moje ci siamo trasferiti in periferia, vicino all'Arco de Tito, e avemo preso 'na baracca ma almeno senza scale.»

Nella annuì. «Non potevate sistemare il letto qui sotto?» chiese Pietro. Turacciolo stava per rispondere ma Nella gli parlò sopra.
«I giovani non sono mai capaci di stare zitti» disse con complicità al vecchio, «anche se non sanno di che parlano.» E poi indicò a Pietro una striscia di muffa sul muro, appena sotto alle finestrelle. () Il vecchio rispose: «Quanno er Tevere piscia fòri dar vaso è mejo sta' in arto».
«Che vaso?»
«Lui nun è de Roma» fece Turacciolo a Nella. E risero insieme.
«Quando c'è la piena, l'acqua entra dentro le case a pianterreno. E se non sei una rana è meglio dormire all'asciutto» spiegò Nella a Pietro. Guardò il proprietario. «Mi dovete abbassare la pigione.»

«Per colpa del Tevere?» disse scettico Turacciolo.
«No» fece senza vergogna Nella. «Per colpa del mio borsellino. Non so se si riempirà mai abbastanza.»
Il vecchio la fissò. «Risposta pericolosa. Perché dovrei farlo?»
«Perché siete un brav'uomo e non avete gli occhi avidi.» Turacciolo fece un mezzo sorriso, compiaciuto. «E voi siete sufficientemente onesta da dire la verità. Questo vi fa onore. Ma se non pagherete?»
«Pagherò. A costo di levarmi il pane di bocca.»
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