«Sempre caro mi fu quest'ermo colle», l'Infinito di Leopardi compie 200 anni

«Sempre caro mi fu quest'ermo colle», l'Infinito di Leopardi compie 200 anni
di Renato Minore
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Martedì 28 Maggio 2019, 11:37 - Ultimo aggiornamento: 29 Maggio, 11:47

«Sempre caro mi fu quest'ermo colle», «E il naufragar m'è dolce in questo mare». Un incipit e una chiusa memorabili, ma anche (quasi) uno slogan, un refrain, un mantra. A duecento anni dalla stesura del piccolo idillio una delle poesie più lette, commentate, imparate a memoria della letteratura italiana, forse la più conosciuta, studiata talora anche parodiata - ecco che risuoneranno oggi in scuole, piazze, luoghi pubblici di tutta Italia, nell'occasione del suo bicentenario dell'Infinito. A cominciare da quella più leopardiana ed istituzionale, la Piazzuola del Sabato del Villaggio su cui affaccia la casa del poeta. Qui e lungo tutto il centro storico di Recanati duemila studenti reciteranno i versi de L'infinito. E saranno premiati gli istituti vincitori del Concorso Il mio Infinito nato per stimolare la riflessione, la creatività e l'espressività degli studenti attraverso un percorso di confronto con la propria visione di Infinito. Una sorta di invito collettivo di tornare al testo, rileggerlo, magari ad alta voce per carpirne meglio quell'oscillazione tra suono e senso che dà l'imprinting ai quindici versi.

IL DESTINO
Il destino di Leopardi fu sempre diviso tra ascesi e ribellione, pendolante tra desiderio di fuga e bisogno di reclusione. E può anche essere raffigurato dalla passeggiata sul Monte Tabor, dal linguaggio dello sgomento e del fascino che si accorda con le meravigliose vibrazioni di cellule nascoste nel testo. Sospeso tra incanto cosmico e senso dell'umana precarietà, L'infinito fu composto a poco più di un mese dalla fallita fuga da Recanati in uno stato di prostrazione morale e fisica che trova compenso nei cosiddetti piaceri dell'immaginazione.

Nel piccolo poggio che si spalanca sulle colline maceratesi fino ai monti Sibillini, Giacomo Leopardi saliva lungo la strada di Santo Stefano accanto al suo giardino fino al monte Tabor. Alle spalle Recanati, si abbandonava al piacere consolatorio delle verità immaginarie. Così, in un pomeriggio del 1819, ventunenne, ebbe la sensazione che l'apparente infinito di quella distesa naturale si dilatasse ancor più. L'idea d'infinito balenava da un'estasi cieca davanti alla natura, da un occhio del cuore innalzato di là dalla siepe che escludeva la vista. E nasceva dal dissidio tra l'idea d'infinito e la cognizione empirica del tempo e dello spazio che trascina con sé anche l'idea del nulla del mondo e del decentramento assoluto dell'uomo rispetto alle altre cose esistenti.

Nasceva così lo Skyline figurale e reale dei quindici versi, la siepe che dimezzando lo «sguardo dell'ultimo orizzonte» porta l'animo a figurarsi «sovrumani silenzi», «profondissima quiete», «interminati spazi» e, dunque, «l'eterno». Perché è vero, come è stato scritto che la grande poesia cambia incredibilmente pelle e di conseguenza cambia anche la prospettiva di chi continua a leggerla.



SUGGESTIONI
Dunque: la forza dell'illusione, il valore della memoria, la vanità dell'esistenza, quell'emozionato desiderio di infinito spinto dal limite della famosa siepe. Sono tutti temi, suggestioni, emozioni di lettura che possono variamente combinarsi, in modo che ognuno abbia il suo Infinito, la sua lettura privilegiata.

Per commentarlo, ognuno a modo suo e far risuonare ancora quel dissidio che le parole leopardiane fissano tra l'esattezza di un'idea e la vaghezza delle sensazioni. C'è chi può riconoscere l'estasi cieca di fronte alla natura in cui naufragano i fondamenti eroicamente illuministi e materialisti della filosofia. Chi può individuare la penosa coscienza della caducità delle cose e chi l'esperienza dell'impossibilità di dire l'infinito che, più che un paradigma sapienziale e metafisico, diventa la cognizione di un identico sbigottimento di fronte all'effimero o al niente della vita, della storia, dell'orrore del presente. C'è chi può sottolineare la concentrazione assoluta della mente nei profondi abissi, una sorta di condizione estatica con Dio al di fuori di ogni parola, con la gioia che colma la mente fino all'orlo, davanti alla molteplicità delle sensazioni alla felice morte dell'io. Ognuno a suo modo aggiunge figure, segni, forme per ripensare alsupremo modello di stupore mentale ed emozionale racchiuso nei versi leopardiani'.
 

 


GLI ADOLESCENTI
Proprio in occasione del bicentenario, uno scrittore, Eraldo Affinati ha individuato nel lettore giovane il lettore ideale dell'Idillio leopardiano.
Leopardi, ha detto, era solo sul colle di fronte alla consapevolezza di finitudine che lo serrava, di fronte alle tante domande che affioravano. Sperduto e solo come paradossalmente continuano a essere, due secoli dopo, tanti adolescenti di fronte allo schermo del computer. Pensano, senza la siepe o s'illudono di poterlo esplorare. La conclusione è che c'è un'età in cui poter leggere, se non capire con maggior profitto (la comprensione ha bisogno di radicarsi nel tempo, accumulare possibilmente più sapere e saperi) quei quindici versi leopardiani che questa mattina leggeranno tanti giovani in tutta la penisola, in una fascia che va dai quindici ai vent'anni quando furono scritti da un altrettanto giovane tormentato poeta davvero «favoloso».

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