Riscattare la Terra dei fuochi: gli studenti fotografano la periferia Napoli

Uno scatto dietro le quinte del progetto "Ri-scatta l'obiettivo"
di Nicolas Lozito
5 Minuti di Lettura
Giovedì 29 Novembre 2018, 01:06 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 14:40
Quindici studenti, quindici fotocamere, un quartiere da raccontare. Sembra l’inizio di un reality show: è invece uno dei migliori progetti fotografici amatoriali riusciti negli ultimi tempi in Italia. 
 
 


Siamo a Napoli, più precisamente a Caivano, in piena Terra dei fuochi. Un luogo di frontiera dove criminalità e droga minano quotidianamente la vita di tutti, in particolare quella dei giovani. Ma anche una zona dove ogni giorno centinaia di persone provano a ripartire, riscattarsi e resistere. I protagonisti sono un gruppo di studenti dell’Istituto Superiore Francesco Morano, che quest’estate hanno preso parte al progetto “Ri-scatta l’obiettivo”, promosso dalle organizzazioni non profit Neapolis.Art e Photolux e sostenuto da Canon Italia. Un corso itinerante di fotografia che li ha portati a imparare a scattare fotografie, raccontare storie per immagini e scoprire una passione che potrebbe trasformarsi in un mestiere. Durante il corso c’era un maestro di eccezione, il fotoreporter Antonio Gibotta, e uno scopo ben preciso: valorizzare la loro stessa terra di provenienza. Il filo rosso dell’iniziativa, infatti, è l’Agenda 2030 delle Nazioni unite, che ha individuato diciassette obbiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030. Il risultato degli ultimi mesi di lavoro è sfociato in una mostra di ottanta fotografie che rappresentano luoghi, identità e autori differenti. Ottanta sfaccettature di un gruppo che però suona all’unisono. 

«Ho iniziato questi tipi di progetti nel 2010 in una scuola di Secondigliano», racconta Rossella Paduano, ideatrice di “Ri-scatta l’obiettivo” e fondatrice di Neapolis.Art. «Il budget era zero e in classe usammo delle macchinette usa e getta. Era una scuola blindata, per entrarci bisognava passare tre cancelli. Ma fu un lavoro bellissimo, alcuni bambini riuscirono a vedere il mare per la prima volta, altri si appassionarono molto alla fotografia». Da quell’anno Paduano non ha mai smesso di portare le fotografie nelle scuole di periferia della sua città, allargando sempre di più i progetti. «L’anno scorso è arrivato il sostegno di Canon: ora agli studenti possiamo dare delle macchine fotografiche vere e proprie. Nel 2017 abbiamo lavorato con il fotografo Pietro Masturzo in un istituto tecnico di San Giovanni a Teduccio, e i risultati sono stati incredibili», racconta.

Quest’anno il progetto si è tenuto dopo la fine della scuola, tra giugno e luglio, come voluto dalla preside Eugenia Carfora dell’istituto Morano. Così da offrire un attività estiva e dare agli studenti la possibilità di partecipare a un progetto costruttivo. I corsi prevedevano delle lezioni teoriche e delle uscite per sessioni di fotografia del territorio, di ritratti, di street photography nei luoghi più disagiati. «L’aspetto più sorprendente è che riescono a trovare il bello in posti terribili. Di fronte a certi scatti, non credevo ai miei occhi», racconta emozionata e orgogliosa Paduano. 



A guidare i quindici studenti nella scoperta fotografica c’era Antonio Gibotta, fotografo trentenne napoletano che nel 2016 ha vinto il World Press Photo con un suo reportage dalla Spagna. «La prima cosa che gli ho detto – spiega Gibotta – è stata: “guardate la luce. La luce è la cosa più importante, è ciò che racconta la vostra storia, non preoccupatevi della tecnologia. Potete fare foto con qualsiasi mezzo”». Gibotta è riuscito a trasformare un semplice corso in un divertimento quotidiano: «Non sono molto più vecchio di loro, vengo dalla stessa città, così scherzavamo, ci divertivamo, negli spostamenti in auto ascoltavamo canzoni o ci raccontavamo barzellette. Abbiamo ancora una chat WhatsApp tutti insieme». Gli stimoli dovevano essere continui, e il gruppo doveva rimanere compatto, per evitare il fenomeno della dispersione scolastica, sempre più diffuso nell'area.
Nelle 15 uscite insieme i ragazzi e Gibotta dovevano poi riuscire nel difficile compito di trasformare gli obbiettivi ideali delle Nazioni unite – in particolare quattro: Sconfiggere la Fame, Istruzione di Qualità, Città e Comunità Sostenibili, Consumo e Produzioni Responsabili – in fotografie e storie concrete. Ne è uscito un percorso che racconta aziende di riciclo dei rifiuti, agricoltori e coltivatori di canapa, corsi di cucina nelle scuole alberghiere, parchi riqualificati e nuove architetture, come la stazione di Afragola progettata da Zaha Hadid. 

Fondamentale è stato il sostegno di Canon, che da due edizioni fornisce gli strumenti al corso, lasciando agli studenti anche la possibilità di usare le fotocamere al di fuori delle ore dedicate al progetto. «Ormai da tempo Canon aiuta le nuove generazioni a scoprire nuove forme di espressione, guidata dalla forza delle immagini e dal racconto fotografico», spiega Daniela Valterio, Environment, quality & product safety manager di Canon Italia. «Il progetto che stiamo sviluppando a Caivano fa parte di un più ampio programma europeo - Young People Program - che ha lo scopo di rafforzare la consapevolezza dei più giovani verso alcune tematiche dell’attualità moderna, oltre a insegnare loro a raccontarle attraverso le immagini. Il programma infatti ha come linea guida i 17 obiettivi delle Nazioni unite. Per Canon è fondamentale motivare i giovani e sostenerli, affinché la loro voce possa essere ascoltata». 



Le ottanta fotografie di “Ri-scatta l’obiettivo” saranno in mostra a Photolux di Lucca fino al 9 dicembre. Arriveranno poi a Napoli il 22 dicembre, quando verrano ospitate all’interno della personale di Antonio Gibotta al PAN, Palazzo delle Arti di Napoli. Infine, nel 2019 torneranno a casa: verranno esposte nell’Istituto Morano di Caivano. Una mostra ma anche un messaggio di riscatto e resistenza al quartiere e alla città. Come scrive la preside Carfora: «Qui c’è un tesoro inestimabile, qui c’è la speranza del presente e del futuro». 

Più di tutto, però, valgono le parole di quei quindici studenti con quindici macchine fotografiche. «Abbiamo partecipato a questo progetto con l’intento di fare un’azione buona attraverso con la fotografia – racconta Carmine Fusco –. Lo abbiamo fatto mostrando che nel nostro territorio non c’è solo quel senso di agonia che ci opprime, ma anche un forte senso di speranza che non muore mai e che di tanto in tanto permette a persone come noi di poter fare qualcosa per tutti». 
© RIPRODUZIONE RISERVATA