Dopo la laurea in Scienze naturali Russo si è specializzato in reportage di viaggio e montagna e nella redazione di guide. Tra i suoi libri “La via di Santiago”, “Guida al Vulcano Laziale”, “Il respiro delle grotte”; per il Touring Club Italiano ha curato le guide di Berlino, Spagna Sud, Austria, Norvegia, Barcellona, Campania, Calabria, per Autostrade per l’Italia ha realizzato il progetto “Sei in un paese meraviglioso”, ha scritto “111 luoghi di Napoli che devi proprio scoprire”, “L’Italia è un sentiero”, ed è autore del libro fotografico “Cod bless Norway” di prossima pubblicazione.
Dal vasto mondo a Tor Pignattara, l’orizzonte le si è ristretto?
«Assolutamente no, anzi. Girando per le strade con la macchina al collo, cosa che faccio da quattro anni, da quando ho deciso di venire ad abitare qui, mi sembra di essere sempre in viaggio. È un quartiere di frontiera, dove succedono molte cose, alcuni la considerano periferia...».
Perché questa scelta?
«Abitavo all’Esquilino, dovevo cambiare casa e avevo degli amici a Tor Pignattara, così il passaggio è stato facile. Non so quale dei due quartieri sia più multietnico! Comunque qui c’è grande fermento, artistico e culturale, ci vivono molte giovani coppie, ci sono ben due librerie, un teatro che produce spettacoli suoi, purtroppo nessun cinema...».
Ha cominciato a fotografare il quartiere durante il lockdown?
«In realtà ho cominciato prima, appena arrivato, fotografavo per capire meglio e per essere accettato. Poi durante il lockdown ho avuto più tempo per esplorarlo, percorrevo poche centinaia di metri da casa, ho scattato centinaia di foto e con Francesca Pagliaro, storica dell’arte, abbiamo cominciato a pensare alla mostra ragionando sul concetto di periferia. Cos’è che ci fa definirla tale? Tor Pignattara dista dal Colosseo 5 chilometri, esattamente come i Parioli. E' un quartiere ricco di presenze e di attività, ci sono anche emergenze archeologiche importanti, come il mausoleo di Elena, detto “Torre delle Pignatte”, realizzato con piccole anfore usate come mattoni da cui prende il nome».
Perché questo curioso allestimento?
«Restando in tema centro-periferia, le didascalie delle foto fanno riferimento a luoghi della Roma turistica. Ad esempio quella di una persona di spalle che guarda dal terrazzo, che per inciso è mio fratello Luigi che fa lo scultore, si intitola Belvedere del Gianicolo, quella intitolata Terrazza del Pincio, con una coppia che danza su un tetto, è affiancata a Campo de’ Fiori, dove alcuni uomini in turbante s’incontrano a un incrocio».
Cosa ha scelto di fotografare di “Torpigna”?
«Persone, sguardi, solitudini, gente seduta in panchina, volti caratteristici.
Per esempio durante il lockdown c’è stato un cantante, Manuele Fraternali, che tutti i pomeriggi alle 18 portava in terrazzo l’impianto di amplificazione e cantava tre brani. Col passare dei giorni è diventato il personaggio del quartiere: le persone gli scrivevano su Facebook per i compleanni, volevano dediche per le ricorrenze, la sera gli chiedevano i brani per il giorno dopo. Lui è stato uno dei miei soggetti».
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