L'idea di ripercorrere dopo 2500 anni, sulle tracce di un mito, le varie fasi della produzione di un vino antico nacque proprio all'Elba, è nata quando Antonio Arrighi, piccolo produttore dell'isola, che da oltre dieci anni sperimentava e vinificava nelle anfore di terracotta di Impruneta, sentì il professor Scienza parlare della sua ricerca sul vino dell'isola di Chio. I vini di Chio, piccola isola dell'Egeo orientale, facevano parte di quella ristretta élite di vini greci considerati prodotti di lusso sul ricco mercato di Marsiglia e poi di Roma. Varrone li definiva «vini dei ricchi» e, come ricorda Plinio Il Vecchio, Cesare li offrì al banchetto per celebrare il suo terzo consolato.
Come i vini di Lesbo, Samos o di Thaso, quello di Chio era dolce e alcolico - unica garanzia per sopportare i trasporti via mare - ma aveva qualcosa che gli altri vini non avevano: la presenza del sale derivante dalla pratica dell'immersione dell'uva chiusa in ceste, nel mare, con lo scopo di togliere la pruina dalla buccia e accelerare così l'appassimento al sole, preservando in questo modo l'aroma del vitigno. L'uva utilizzata per ricreare questo particolare metodo di vinificazione è l'Ansonica: un'uva bianca tipica dell'Elba, probabile incrocio di due antiche uve dell'Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis, varietà caratterizzate da una buccia molto resistente ed una polpa croccante che ha permesso una lunga permanenza in mare.
Le uve sono state immerse in mare per 5 giorni a circa 10 metri di profondità, protette in ceste di vimini.
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