«E' stato un grande scrittore», Salvatore Nigro, amico di Camilleri, ricorda l'inventore di Montalbano

«E' stato un grande scrittore», Salvatore Nigro, amico di Camilleri, ricorda l'inventore di Montalbano
di Andrea Velardi
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Domenica 21 Luglio 2019, 13:30
Salvatore Silvano Nigro è l’autorevole letterato, docente presso prestigiose università americane, che è stato per anni amico di Andrea Camilleri e ha scritto dal 2001 tutti i risvolti di copertina dei suoi libri. Abbiamo sollecitato i suoi ricordi a due giorni dalla scomparsa del grande affabulatore.
 
Lei ha conosciuto Andrea Camilleri in tempi non sospetti, apprezzandolo ancor prima che diventasse famoso.
 
Certamente fu la grande Elvira Sellerio a farci conoscere, la prima a comprendere che Camilleri poteva avere successo non nonostante, ma grazie al suo siciliano. Dobbiamo ricordare che il problema era cruciale per Leonardo Sciascia, che apprezzava le ricerche storiche ma si poneva il problema di come un non siciliano potesse accostarsi ai libri di  Camilleri. Il primo incontro ideale avvenne nel 1984 complice “La strage dimenticata” un libro fortemente voluto dal lungimirante Sciascia che ne riscrisse completamente il risvolto di copertina.  Sciascia conosceva i miei studi su Manzoni e voleva che apprezzassi quel libro così ispirato alla “Storia della Colonna Infame”.
Ma, come dicevo fu Elvira Sellerio a creare le condizioni per la nascita della nostra amicizia. Nel 1996 mi cercò molto preoccupata perché nessuno a Palermo voleva presentare il romanzo “Ladro di merendine”, il terzo romanzo della serie di Montalbano pubblicato dopo “La forma dell’acqua” e “Il cane di terracotta” Era una situazione penosa e scandalosa in effetti perché su Camilleri aleggiava lo stigma di essere considerato uno scrittore pop e non letterario. Elvira mi pregò di presentarlo perché io insegnavo alla Yale University e dovevo rientrare in Italia, per qualche giorno, perché il mio libro La tabacchiera di don Lisander, pubblicato da Einaudi, era in finale al Premio Viareggio e io diedi volentieri il mio fregio di professore all’opera di Camilleri rispondendo all’invito della Sellerio. Da allora è nata una affettuosa amicizia tra noi e così dal 2011 ho firmato le bandelle, i risvolti di copertina di tutte le sue uscite”.
 
Pochi anni dopo lei cura la raccolta dei Romanzi storici e civili del secondo dei due Meridiani Mondadori dedicato al famoso “cuntastorie” e inventore di Montalbano. Il primo nel 2002, dedicato tutto alla serie del commissario, fece storcere il muso a molti intellettuali. Ricordiamo ancora Maria Luisa Spaziani, che pure regalava compiaciuta a tutti (anche al sottoscritto) il primo romanzo di Camilleri “Un filo di fumo”, come libro dalla straordinaria comicità,  incredula e scandalizzata per quella consacrazione considerata come indebita, mentre lei era ancora in attesa del suo Meridiano che sarebbe uscito solo nel 2012.
 
Io in verità sono più scandalizzato di un Meridiano dedicato alla Spaziani! Quello che ho curato aveva un’appendice fantasmagorica. Quando Camilleri scriveva i romanzi storici, produceva dei veri falsi letterari in italiano secentesco e in latino che Sellerio non aveva pubblicato, come l’atto di nascita e la biografia del protagonista del Re di Girgenti. Per questo nel Meridiano ricordo che l’aiutante dell’abate Giuseppe Vella nel Consiglio d’Egitto di Sciascia porta il nome di Camilleri e ha origini maltesi come la sua famiglia. Come Vella si era inventato un finto arabo, che era in realtà un dialetto maltese travestito, così Camilleri ha inventato una nuova lingua travestendo letterariamente il dialetto siciliano. Una lingua che ha un ruolo fondamentale nei suoi libri, perché crea quel divertissment di cui è impregnato il suo giallo, in cui al plot classico dell’inchiesta viene aggiunta una comicità strategica, affatto fine a se stessa. Infatti le burle di Montalbano servono per risolvere il caso, sono delle trappole tese dal commissario a chi non vuole confessare. Camilleri aveva appresso quest’arte da una novella del quattrocento, “Il grasso legnaiuolo” a cui Brunelleschi fa uno scherzo con la complicità di Leon Battista Alberti e Donatello facendogli credere di essere un’altra persona. Sono le beffe tipiche del “tragediaturi”, il burlone fondamentale nell’opera di Camilleri.
 
Il caso di “tragediaturi” è assai significativo rispetto alla invenzione del vigatese sul calco del dialetto siciliano perché la parola ha due significati diversi a seconda delle zone dell’isola. Proprio Sciascia distingueva in “Kermesse” l’accezione palermitana e quella di Racalmuto. Nella provincia del capoluogo “tragediaturi” è  chi tiene i familiari e gli amici in “tribulo” (bell’esempio parola di seconda importazione e ritorno del siciliano trapiantato a Little Italy derivata da “trouble”),  chi reagisce in maniera spropositata a questioni da poco (fa un macellu pì nà cosa di nenti), con fare che risulta anche tragicomico, o molto snervante, mettendo zizzania,  enfatizzando gli errori altrui, calunniando,  “dicennu cosi chi un su veri pi aggravari nà situazioni”. Nell’agrigentino è diffusa invece un’accezione molto peculiare che è quella che entra nel vigatese di Camilleri. “Tragediaturi” è un pirandelliano ragionatore e un sofista, che  diffida anche delle cose buone e belle,  “mugugna aspettandosene il rovesciamento, l’inevitabile avvento del contrario”, un «ingegnoso nemico di se stesso», esperto nella scienza del peggio, che ha una versione più popolare e comica appunta nel burlone, che si fa continua beffa del genere umano. Questo caso conferma la versatilità e creatività del vigatese che non è una semplice replicazione del siciliano letterario o parlato. A questo proposito ricordiamo che lei professore è sempre stato uno strenuo difensore del vigatese, di quel siciliano letterario che non sarebbe un semplice prodotto nazional-popolare di consumo.  Come ha fatto questo miscuglio a imporsi a milioni di lettori?
 
Perché è una lingua inventata e quindi funziona più attraverso il suono che il significato. Anche se un milanese non capisce che taliari vuol dire guardare, lo intende da come è costruito il contesto.  Dopo le prime perplessità, nate dal riferimento di Sciascia ad una lettera di Verga a Luigi Capuana in cui si dice che uno scrittore siciliano deve avere 'i polmoni larghi', l’autore de “Il giorno della civetta” aveva capito che Camilleri andava oltre la Sicilia, aveva inventato un mondo - Vigàta – con la sua lingua: il vigatese. Che oggi è parlata da milioni di lettori nel mondo.
 
Quale episodio significativo ricorda, soprattutto dell’ultimo periodo, quello della vecchiaia, la stagione “nivura” diremmo in siculo-vigatese, quella in cui Camilleri si sarebbe potuto definire un po’ “accutufatu”, pieno d'acciacchi, ma in cui non sembrava mai “arraggiato” o “cardascioso”, ma anzi era perfino incurante della morte?
 
Siamo diventati amici sul lavoro, l’ho conosciuto tardi con una differenza di età di venti anni. Parlava in vigatese anche con me, ma, al contrario di quanto si può pensare, non sono mai riuscito a sentirlo come un fratello, ma più come uno zio, ed ero molto intimorito da lui. Confesso che sono rimasto stupito dalla sua imperturbabilità nel periodo della vecchiaia piena di serie “camurrie” come quella della cecità. Ma lui dava sfoggio di quell’autoironia spontanea in un uomo dall’estro comico straordinario, maestro della burla e della “babbiata” anche su se stesso.
 
Aveva ancora qualche frustrazione rispetto al dibattito creatosi attorno alla sua opera?
 
Al contrario aveva una grande consapevolezza del suo valore, ha proceduto per la sua strada senza timore avendo ragione alla fine su tutti. Con grande umiltà. Io ho scritto tutti i suoi risvolti di copertina, ma nella mia attività editoriale ne ho scritti a centinaia, l’autore voleva intervenire, proporre una correzione, invece Camilleri non è mai intervenuto ha sempre accettato la parte e il ruolo di chi fa la bandella. Nessuno ha avuto un successo simile al suo. Ci sono autori che hanno avuto successo con un romanzo come Eco con “Il nome della rosa”, ma Camilleri lo ha avuto con tutti i suoi libri. Ricordo che un anno ci furono ben quattro suoi libri in classifica, cosa che non è mai accaduta in nessuna parte del mondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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