Alexandre Dumas, lo storico Schopp: «Oggi farebbe serie tv, o si darebbe alla politica»

Alexandre Dumas, lo storico Schopp: «Oggi farebbe serie tv, o si darebbe alla politica»
di Riccardo De Palo
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Lunedì 12 Ottobre 2020, 14:55 - Ultimo aggiornamento: 15:10

«Se oggi fosse vivo, Alexandre Dumas si sarebbe divertito a scrivere serie tv, e forse avrebbe cercato un ruolo in politica». Lo storico francese Claude Schopp è il massimo esperto dell'autore de I tre moschettieri: oggi 12 ottobre alle 18.30 sarà ospite d'onore di Uno per tutti, tutti per uno, incontro per la riapertura di Palazzo Farnese, in occasione dei 150 anni dalla morte di Dumas (che cadono il 5 dicembre), con Gian Luca Favetto e (a distanza) Michele Mari.  L'incontro sarà visibile anche in  streaming via Zoom e YouTube.

«Dumas avrebbe accettato il nostro mondo così com'è - dice - lui stesso aveva conosciuto l'epidemia, il colera. Era un uomo che si adattava a tutte le circostanze. Avrebbe fatto lo sceneggiatore, e sarebbe stato forse un buon politico di centro-sinistra».

Quale eredità ha lasciato ai posteri?
«Dei libri immortali, e ha contribuito a creare miti rimasti ancota oggi attuali. Con I tre moschettieri
ha elevato l'amicizia al livello di mito, così come ha fatto con la vendetta ne Il conte di Montecristo. Ho l'impressione che molti film su questo tema si siano ispirati all'opera di Dumas».

Dumas era figlio, come sappiamo, di un generale della Rivoluzione francese mulatto, figlio di un marchese francese e di una schiava haitiana, detta la femme du mas (la donna della masseria, di qui il nome). Come ha fatto a vincere i pregiudizi del suo tempo?
«Non si può dire che ne abbia sofferto, perché aveva una vitalità talmente forte... Ci furono scrittori che lo discriminavano, si lamentavano che un negro (così lo chiamavano) come lui facesse lavorare dei collaboratori. Ha incontrato ostacoli, ma non si è certo messo a piangere per questo».


Dumas fu anche buon amico di Garibaldi. Ci può raccontare qualcosa del loro rapporto?
«Ah, sì, è stata la sua grande avventura. Ha passato gran parte della vita scrivendo di storia, ma in questo caso ebbe l'occasione di viverla. Credeva veramente di poter cambiare il mondo, l'Italia, partecipando a questa epopea. Arrivò a Napoli qualche giorno dopo Garibaldi, perché una tempesta gli aveva impedito di arrivare in tempo: quando lo vide si gettò tra le sue braccia, e l'eroe dei due mondi gli diede subito del tu, lo trattò con estrema familiarità. Lui si commosse tanto da avere le lacrime agli occhi».


Di cosa parlerà a Palazzo Farnese?
«Dei rapporti tra Dumas e l'Italia. Dumas, come Stendhal d'altronde, è lo scrittore che ha più celebrato il vostro Paese.

Si può dire che fosse, più che francese, uno scrittore franco-italiano».


Che cosa pensava dell'Italia?
«La prima impressione fu l'ammirazione. Amava il clima, la gentilezza, anche se poi è subentrata la disillusione. Ma sempre, attraverso i giornali, portava avanti la sua battaglia per l'unità d'Italia. Perché non ci fossero più gli austriaci e Roma non fosse più governata dal Papa».


Spesso Dumas è stato considerato uno scrittore di second'ordine. Come mai?
«È stato ignorato dagli universitari, ma adorato dal popolo. Essere uno scrittore popolare è uno svantaggio: penso per esempio a Salgari, che non è stato onorato come avrebbe meritato».


Lei ha vinto il Goncourt per un suo libro dedicato a Dumas figlio. Che uomo era l'autore de La signora delle camelie?
«Era, allo stesso tempo, complementare e contrario rispetto a suo padre. Aveva avuto una giovinezza molto irrequieta, come testimonia proprio La signora delle camelie, prima di assurgere agli onori della Repubblica. Aveva avuto un percorso differente, ma adorava suo padre, e il sentimento era reciproco».


Ci sono ancora inediti, oltre a quelli che ha scoperto?
«Dei testi, ma non romanzi, purtroppo. Anche se il futuro può sempre riservarci delle sorprese».

Lei ha anche scoperto l'identità della modella de L'origine del mondo di Courbet, una delle opere più scabrose (e famose) della storia dell'arte.
«È stata una sorpresa anche per me. Quando la frase rivelatrice di Dumas figlio è cascata sotto i miei occhi, in quella lettera a George Sand, l'emozione è stata grandissima».


Si trattava di Constance Quéniaux, ballerina dell'Opéra, amante del collezionista turco Khalil-Bey: quando posò per Courbet aveva 34 anni, vero?
«Sì, una donna con il singolare destino di lasciarsi dipingere in questo modo. Poco a poco mi sono deciso a ricostruire la sua vita, e non ho potuto fare a meno di ammirarla. Una donna che veniva da una miseria assoluta, riuscita a essere nota e celebrata in tutta Parigi. Ci sono molte sue foto di Nadar, all'epoca in cui faceva la ballerina, ma anche di molti altri. Credo di averne ritrovato all'incirca duecento».


La sua frase preferita di Dumas?
«Attendre et espérer! Attendere e sperare: è il Conte di Montecristo».

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