A Roma la mostra di Giacomo Balla, antesignano del Pop

Primo Carnera, 1933
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Domenica 24 Marzo 2019, 19:54
Dagli anni Trenta, dopo venti anni di Futurismo astratto, Giacomo Balla si allontanò progressivamente
dall'avanguardia fondata da Filippo Tommaso Marinetti fino ad uscirne, e tornò a una pittura figurativa comunque proiettata in avanti. Cercava una strada nuova e la trovò nel cinema americano che proprio in quegli anni, grazie anche ai rotocalchi, stava creando nell'immaginario collettivo le icone e i divi del grande
schermo. E scelse una tecnica che per certi versi anticipò i lavori di Warhol e Lichtenstein: dipingendo non più sulla tela ma sulla rete metallica incollata alla tavola: il risultato era una immagine che ricorda l'effetto "pixel" delle foto dei quotidiani e delle riviste dell'epoca.

Balla, dunque, antesignano del Pop? Su questa chiave di lettura intrigante si sviluppa la mostra «Giacomo Balla, dal Futurismo astratto al Futurismo iconico», curata da Fabio Benzi a Palazzo Merulana, a Roma. Fino al 17 giugno, nella bella sede espositiva della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, una sessantina di opere del
grande maestro torinese - dipinti futuristi degli anni Venti e quadri figurativi successivi - si offrono sotto questa luce nuova.

Il punto di partenza è il ritratto di Primo Carnera, uno dei pezzi più pregiati della collezione Cerasi, che Balla realizzò nel 1933, dipingendolo sul retro di una tavola usata nel 1926 per un soggetto futurista. Per immortalare il Campione del Mondo, l' artista si rifece ad una foto di Elio Luxardo, amico di Marinetti, finita sulla prima pagina della «Gazzetta dello Sport» del 30 giugno di quell'anno quando il pugile vinse il titolo. Per la prima volta Balla usò la rete metallica ottenendo la «retinatura» simile a quello dei giornali. E la replicò in altri dipinti, come le Quattro Stagioni, del 1940, con la figura femminile di ogni quadro, in cui domina il colore rosso, illuminata da una luce che arriva dal basso in diagonale, come se provenisse dal riflettore di uno studio fotografico. Le foto,
delle grandi pubblicazioni popolari, diventano quindi una straordinaria fonte di ispirazione per Balla. In esposizione spicca una matita colorata su carta del 1935 che dice più di tanti discorsi: ritrae la mitica Greta Garbo, identica all'immagine della rivista Cinema Illustrazione del 1932.

«Nessuno parla di come e quando Balla uscì dal Futurismo - osserva Benzi -. Si sa solo che nel 1937 scrisse a una rivista che oggi potremmo definire "leghista" per spiegare che da alcuni non aveva più niente a che fare con il movimento». E se già nel 1930 l' artista osservava che «il cinema, pittura vivente, ha scavalcato i pittori», in una lettera di due anni dopo spiegava: «Dipingo dei quadri realisti come reazione alla bruttezza del
convenzionale». Questa mostra, per il curatore, è dunque uno stimolo per capire. «Con il figurativo Balla non esce dal futurismo. Cercava percorsi nuovi e cosa c' era allora di più popolare della cinematografia hollywoodiana e della moda? Cosa di più moderno delle riviste sfogliate da milioni di persone nel
mondo? Analizzata in questi termini l' opera di Balla è piuttosto inquietante». Il maestro puntava a una immagine che oggi definiremmo mass-mediatica, le foto delle riviste patinate alle quali si ispirava rimandano a un «immaginario di massa, una avanguardia del gusto».

Dopo la frizione con Marinetti, Balla «ha seguito la strada di una modernità solitaria», toccando
aspetti che, appunto, hanno precorso la pittura che si sarebbe affermata tre decenni dopo negli Stati Uniti. «Molti anni fa - ha detto in proposito Claudio Cerasi - venne a trovarmi lo storico e critico d'arte Maurizio Fagiolo dell' Arco e, vedendo il quadro di Carnera, disse 'È la prima volta che vedo un'opera Pop di Ballà».
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