Il regista aveva accusato la compagnia di Jeff Bezos di aver «cercato scuse per la sua azione facendo riferimento alle accuse senza senso vecchie di 25 anni. Accuse note ad Amazon e al pubblico prima dell’intesa». Ma la società aveva replicato che la sua decisione era legata a nuove accuse contro Allen di aver molestato la figlia adottiva Dylan Farrow quando aveva sette anni, ai suoi controversi commenti sul movimento #Metoo e al crescente rifiuto di grandi star a lavorare o ad essere associate con lui, come Greta Gerwig, Rebecca Hall, Timothèe Chalamet e Colin Firth. Tutti elementi che avevano spinto gli editori a rifiutare anche il libro di memorie dell’autore di Manhattan. Le accuse di molestie erano state rilanciate dalla stessa Dylan in alcune interviste, anche se il regista le ha sempre negate e non sono mai state provate in tribunale.
Il premio Oscar aveva espresso perplessità anche sul movimento #Metoo, mettendo in guardia contro «un’atmosfera da caccia alle streghe» in cui «qualsiasi uomo in un ufficio che strizza l’occhio a una donna deve improvvisamente chiamare l’avvocato». Per il colosso di Bezos, «alla luce di un contesto più ampio, le azioni di Allen e le loro conseguenze a cascata hanno fatto sì che Amazon non avrebbe mai potuto ricevere i benefici dell’accordo pluriennale», giustificando la rottura del contratto. Ma ora a prevalere è il «lieto fine».
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