Verdone, 40 anni di carriera e un libro fotografico: «I miei personaggi fragili e sinceri come me»

Carlo Verdone
di Paolo Travisi
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 21 Novembre 2018, 20:04

Uno Dieci Cento Verdone, un racconto lungo cento fotografie della carriera quarantennale dell’attore-regista romano. Immagini dal set, ritratti inediti, scatti dal backstage, fatti negli anni dal fotografo di fiducia, Claudio Porcarelli e pubblicati in un libro con la collaborazione del Gruppo Banco BPM, in uscita nel 2019. Un progetto che nasce con la voglia di celebrare il genio comico di Verdone, che a partire dal suo primo film Un sacco bello, fino all’ultimo, Benedetta follia ha saputo raccontare tic e manie, vizi e virtù di noi italiani. La presentazione del libro si è svolta nella cornice di Palazzo Altieri, dimora storica di un’altra icona del cinema italiano, Anna Magnani. 
 

 

“Carlo Verdone non è solo un attore importante per il cinema italiano, ma tutti noi - sottolinea il giornalista Mario Sesti che modera l’incontro - possiamo ripercorrere alcuni tratti della nostra vita attraverso i suoi film, come facciamo con le canzoni di Lucio Battisti e Dalla”. Per il fotografo Porcarelli “lavorare con Carlo è come entrare in una pasticceria, dove ci sono tanti dolci da scegliere. E poi io ho iniziato come un fan”. "Per tutti noi questo progetto è stato un onore e lo abbiamo accolto con entusiasmo" ha commentato Mauro Paoloni, Vice-Presidente Vicario Banco BPM. Poi la parola è passata a Carlo Verdone.

Il libro. “Io non posso stare in posa, o scatti o me ne vado perché non sono più vero e divento meccanico. Mi è sempre piaciuto lavorare con Porcarelli perché le sue foto sono così, è stato sempre rapido nel catturare il momento, lasciandomi la libertà. Questo libro lo dimostra”.

Gli inizi. “Credo che la mia forza sia stata quella di essere una persona molto sensibile. E poi la mia famiglia mi ha spinto ad osservare il mio quartiere, gli artigiani, i miei genitori erano molto spiritosi e mi hanno stimolato a guardare la gente. Poi quando mio padre mi ha regalato le tessere del cineclub per farmi una cultura cinematografica, ho visto che i grandi registi, De Sica, Fellini, Germi, usavano attori di seconda e terza fascia, assolutamente sinceri e credibili. Ci sono dei film che senza quei caratteristi non sarebbero ricordati, a volte quegli attori secondari hanno fatto la fortuna di un film, più dei protagonisti. 

I personaggi. Quando ho scoperto di poter individuare il Dna di un personaggio, partendo dalla voce, il corpo si muoveva da solo. Ho avuto un furore creativo, senza mai provare quei personaggi, altrimenti morivo. La mia forza è stata la naturalezza, mentre i miei attori li facevo provare, io ho sempre detto loro che dopo il ciak sarei stato al 100%. Per esempio il monologo finale di Bianco, Rosso e Verdone, quello dell’emigrante è stato spontaneo. Chiesi alla troupe 20 minuti di silenzio e da solo ripercorsi tutti i disastri del suo viaggio dalla Germania a Matera. Chiamai motore e partii, dopo ero stremato ed i presenti mi applaudirono. La rifeci una seconda volta perché mi chiesero di avere una copia di sicurezza, ma non aveva ritmo e mi fermai. Per fortuna la copia era buona.
I personaggi che ho rappresentato nelle loro mitomanie, hanno nascosto sempre fragilità, perché a differenza di Mastroianni, Sordi e Gassman i cui uomini erano dei conquistatori di donne, anche se codardi e furbacchioni, io sono nato nel periodo del femminismo, dove l’uomo è stato messo all’angolo del ring. La donna era un essere diverso da come ci appariva, più forte dell’uomo che era sfiancato, come tutti i miei personaggi.

La commedia. Oggi è più difficile farla perché in molti quartieri in tutta Italia, forse meno che a Napoli e nel sud, è cambiato tutto. Non ci sono più la piazza, i mercati, la gente che si parla dalla finestra, come negli anni ottanta. Si è persa quella verità ed umanità. Poi oggi gli attori sono tutti protagonisti, manca quel contorno di personaggi secondari, fondamentali per un film. E’ più difficile fare commedia anche perché la gente è incazzata, c’è odio sociale ed omologazione, si parla di meno e digita di più. Mi preoccupo molto per i figli dei nostri figli, oggi siamo in un Medioevo senza orizzonti, dove le guerre non si fanno con le bombe, ma in Borsa.

Netflix. Secondo me una serie, anche se bellissima, è una catena di montaggio, l’anima di un autore la puoi trovare solo in una pellicola. Per esempio House of cards mi ha inchiodato all’inizio, poi mi sono annoiato, perché si vede solo il trionfo del male. Non so cosa succederà in futuro, ma perdere la sala sarà un grande dolore, anche se oggi non si vuole più l’aggregazione, la condivisione è solo online, quindi non so se i giovani capiscano la sacralità della sala. Ma penso che il cinema italiano debba fare di più, ci sono film brutti che non destano più curiosità. Io ho presentato il progetto di una serie a Netflix, è piaciuto, ma De Laurentiis è proprietario del progetto e deciderà lui.

Prossimo film. Non posso dire molto, lo stiamo scrivendo, sarà un film corale, con 5/6 attori al mio fianco, io sono regista e farò anche una parte.

Totti. Una serie su Totti? Questa è proprio una fake news, ci siamo incontrati pochi giorni fa con Francesco, ma lui ha altri progetti.

Grande Ufficiale. Giorni fa il Presidente Mattarella e il Premier Conte mi hanno nominato Grande Ufficiale dellaRepubblica Italiana, sono molto contento perché ho lavorato tanto nella mia vita.
Giorni fa mi hanno chiamato dal commissariato ed avevo una paura enorme, perché non conoscevo il motivo. Poi sono stato felice, ma tornando in taxi dall’entusiasmo ho lasciato il cellulare in auto. Ho passato tutto il giorno a chiamare i centralini dei taxi, ma niente il telefono è andato perso. Sono passato in poche ore da Grande Ufficiale all’ultimo degli sprovveduti col numeretto in mano in un negozio a Cola di Renzo per comprare una sim.

© RIPRODUZIONE RISERVATA