Cosa vuole dire Rosi? Che forse la guerra e i suoi prigionieri in quei luoghi siano un fatto quotidiano come uscire baldanzosi da una fabbrica nell'Europa dei primi del '900? La guerra e i suoi frutti sono un'industria? In Iraq si mette in scena una pièce sulla sovranità popolare ma a recitarla sono i matti (immaginare un'alternativa alla dittatura è follia?) mentre nella zona del Kurdistan iracheno (uniche bandiere inquadrate nell'opera), soldati e soldatesse aspettano nel nulla. In quello che potrebbe essere il Libano (Rosi non specifica per cui è intrigante provare a risolvere l'enigma), vediamo un pescatore navigare con calma in una palude dall'acqua marrone mentre in lontananza sempre spari e cannonate. Non male anche la fila di macchine vicino una depressione del terreno che ha provocato una micro-cascata del Niagara di fango da cui è impossibile distogliere lo sguardo. Il momento più didascalico, oltre le brevi effigi di Assad e Saddam Hussein, è quando entriamo in contatto con i traumi dei bimbi torturati dall'Isis, i quali balbettano ricordi e usano il disegno per elaborare la violenza subita (scena potenzialmente ricattatoria gestita con estremo garbo dal regista).
La breve didascalia iniziale prima che partisse "Notturno" aveva sintetizzato nella fine dell'Impero Ottomano l'inizio della spartizione occidentale del Medio Oriente. “L'invasione americana ha distrutto ogni cosa bella” è l'unica lamentala contro l'imperialismo yankee ascoltata nel film e fa parte dell'interessante segmento delle prove teatrali svoltesi nell'istituto psichiatrico iracheno. Lo confessiamo: avevamo paura che di fronte a un argomento immenso come questo anche un esploratore esperto come Rosi si perdesse. Invece "Notturno" possiede qualcosa di più sia del bozzettismo comico del Leone d'Oro "Sacro GRA" (2013) che delle immagini shock sull'argomento importante di cui tutti parlano (l'emigrazione) del trionfatore al Festival di Berlino "Fuocoammare" (2016).
Magari stavolta non verrà premiato ma l'abbiamo trovato più discreto e affascinante delle ultime due fatiche, pieno di personaggi ricchi di bellezza di cui è importante scrutare il modo dignitoso di muoversi in uno spazio che giornali e telegiornali trasmettono solo come strazio.
Se Rosi ci invita a trovare il nostro Medio Oriente, il Leone d'Oro alla carriera Ann Hui porta Fuori Concorso un Oriente d'epoca con il melodramma "Love After Love" in cui una ragazzina di Shangai arriva a Honk Kong, ancora protettorato inglese, per conoscere la zia ex concubina al cui confronto la Glenn Close de Le relazioni pericolose (1988) era una santarellina. Tra zia manipolatrice e marito casanova impenitente, ci sarà da soffrire. Anche per noi spettatori. Dall'autrice di "A Simple Life", vincitore della Coppa Volpi femminile qui al Lido nel 2011, ci aspettavamo di più.
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