Venezia, "Miss Marx" e "Pieces of a woman": le recensioni dei film

Venezia, "Miss Marx" e "Pieces of a woman": le recensioni dei film
di Francesco Alò
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Domenica 6 Settembre 2020, 12:17 - Ultimo aggiornamento: 7 Settembre, 15:10
Cosa poteva fare Susanna Nicchiarelli dopo il bellissimo "Nico 1988", trionfatore tre anni fa nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia? Alzare la barra, una volta ammessa nel prestigioso Concorso, per un altro vibrante ritratto al femminile. Dalla “Nicoletta” de "La dolce vita" (1960), poi musa dei Velvet Underground, poi ancora cantautrice solista tossica decaduta e decadente alla solare Miss Eleonor Marx, figlia di Karl. Dal rock marginale del 1988 alla Londra comunista del 1883, anno in cui comincia il film. Eleonor è al funerale di quel padre prima del comunismo e poi forse di lei. Pochi amici raccolti, tra cui il fidato Friedrich Engels. Dopo aver seppellito entrambi i genitori la sentiremo dire: «Ora è il mio momento di vivere».

MISS MARX
Si è sempre occupata degli altri, visita costantemente le fabbriche inglesi per migliorare la vita degli operai (1137 amputazioni e 403 incidenti solo nel 1883), scrive pamphlet, traduce in inglese Madame Bovary e si innamora del drammaturgo Edward Aveling. Tutto il film della Nicchiarelli, ancora con uno stile asciutto e senza fronzoli come "Nico 1988", racconta maschi che predicano bene e razzolano male. Dal padre Karl (si scoprirà un figlio non riconosciuto) al fidanzato Edward, spendaccione, oppiomane e adultero. Questi comunisti sono dei grandi maschilisti. Ambienti scarni ma eleganti, attori sopraffini e repertorio musicale da Chopin a Liszt passando per il punk rock del gruppo feticcio della regista romana Gatto ciliegia contro grande freddo. E poi c'è lei: Romola Garai. È una Eleonor Marx tremendamente somigliante alla Nicchiarelli stessa (caso o voluto?), sempre al servizio del film senza mai strafare. Mentre nel finale di "Nico 1988" il destino della protagonista seppur fosco sapeva di liberazione, qui si esce dalla visione con una profonda tristezza nel cuore per una donna dai grandi ideali e dai modi gentili, forse anche troppo. Struggente il flashback da bimba in cui davanti a papà, familiari ed amici proclama allegra “franchezza” e “verità” come cardini della sua esistenza.

PIECES OF A WOMAN
Altra signora e altro dolore in "Pieces of a Woman" di Kornél Mundruczó, ancora in Concorso. Siamo a Boston, dove una giovane coppia aspetta di partorire in casa. Il regista ungherese, coadiuvato in sceneggiatura dalla compagna Kata Wéber, apre la pellicola con un virtuoso piano sequenza in cui la camera si contorce per corridoi e bagni angusti come e più della mamma gravida. Lei si chiama Martha e non riuscirà a stringere al petto per più di qualche secondo la sua bambina. Dopo il devastante lutto passeranno mesi (sette per la precisione) in cui Martha (Vanessa Kirby) diventerà respingente, lunatica, quasi sonnambula nel suo girovagare per Boston in cerca di risposte. Colpa di una sconosciuta ostetrica di rincalzo chiamata a casa all'improvviso quella fatidica sera? Il marito ricomincia a bere (bravo l'ex star di "Transformers" sempre più affezionato al cinema indipendente Shia LaBeouf) mentre la madre la invita a bruciare i ponti col passato (troppo vecchia l'ottantottenne Ellen Burstyn per essere il genitore della trentaduenne Kirby). Molto tosto, eccellente la Kirby nel non permetterci di compatirla ma con qualche semplicismo nel finale e in alcune metafore (il marito costruttore di ponti sarà il bersaglio numero uno della mamma di lei). Abbiamo visto la piena accessibilità al tormento interiore di Miss Marx grazie alla recitazione accogliente di Romola Garai e poi subito dopo ci siamo infilzati sugli aculei della protagonista di Pieces of a Woman, cercando di andarle incontro. Due film diversi ma entrambi indimenticabili.
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