Traviata è un letto. Un talamo nuziale e di morte che domina il palcoscenico. Rosso di passione, ma circondato dal nulla, al centro di una scena deserta. Pesano, sulle sete porpora, tre lampadari maestosi: fari sulla sua vita da cortigiana che la società non perdona. E anche quando si abbandona sul broccato per cantare, “Sarìa per me sventura un serio amore?”, beandosi della “Gioia di essere amata amando”, la verità le ritorna addosso con violenza. Alfredo, da lontano, invisibile, quasi la voce di un sogno, intona il sentimento che lo scuote “Misterioso, altero, croce e delizia al cor!”, mentre uomini in frac, tanti, le gettano sull’alcova i cappotti, ripetendo un gesto che torna dal passato, da intimità comprate.
IL DUELLO A CARACALLA
L’ultima scena del primo atto della Traviata che in questi giorni Mario Martone sta trasformando in un film del Teatro dell’Opera, coprodotto da Rai Cultura per Rai Tre, è di grande suggestione, il manifesto della lettura che il regista napoletano, insieme con il maestro Daniele Gatti, hanno studiato per l’opera di Verdi, che andrà in onda il 9 aprile in prima serata, ore 21,20, su un canale generalista.
IL CARNEVALE A VIA FIRENZE
Si gira al Costanzi, ma anche a Caracalla (arrivo in carrozza e poi duello nel tramonto), e in via Firenze (le sfrenatezze del carnevale del secolo scorso tra le auto del traffico cittadino), mentre le scene di campagna sono “al chiuso”, sul palco, utilizzando pannelli di precedenti allestimenti che si sgretolano, via via che la passione si trasforma in condanna: non è una storia d’amore, quella che vedremo in tv, tutta lacrime, sangue e merletti, ma la denuncia contro una società che giudica e condanna.
Dopo il successo della produzione cinematografica del Barbiere di Siviglia che a dicembre ha inaugurato la stagione del teatro, la squadra si ricompone per il nuovo allestimento. Ma questa volta Mario Martone non riprende una sala vuota, ma trasforma in studios i diversi spazi del teatro. Le truccatrici occupano il salone del bar, il foyer non accoglie ospiti (ieri unica eccezione per la sindaca Raggi, presidente della Fondazione, che è arrivata per la scena del brindisi), ma impianti d’illuminazione e macchine per la registrazione. Sul tappeto rosso sfilano figuranti in abiti ottocenteschi (costumi d’archivio) e la maggior parte dei palchi è occupata da telecamere: ben nove.
270 LAMPADINE
Dopo un mese di prove, ieri il ciak inaugurale. “Giù le mascherine, si gira” il primo atto. La platea senza poltrone è un colpo d’occhio spettacolare. Il lampadario monumentale solitamente incastonato in alto nella cupola, è sceso giù al centro della sala, con le sue 270 lampadine e una pioggia di cristalli allineati su 560 strisce verticali. Sul podio, il direttore musicale del teatro, Daniele Gatti, che continua, in questa quarta produzione Covid del Costanzi, a sperimentare i nuovi linguaggi del teatro musicale e la sua ricerca sulla drammaturgia verdiana. Sfilano le scene del ballo e dei calici, attorno a un tavolo infinito e desolato cui Violetta affida la sua disperazione, adagiandosi malata. Un’eroina che nasce e muore tornando nella musica che le ha regalato la poesia negatale dalla vita.