Spacey, la condanna preventiva che fa male al cinema e agli Usa

di Marina Valensise
3 Minuti di Lettura
Martedì 8 Gennaio 2019, 00:00
Lungi da noi difendere pedofili e molestatori, anche se sarebbe urgente mettersi prima d’accordo sul perimetro delle nostre libertà (o tolleriamo la liberazione dei costumi e dunque anche quella sessuale, o la rifiutiamo e allora reprimere e condannare rientrano nell’ordine delle cose).

Lungi da noi mostrarci indulgenti nei confronti del vizio e della perversione, ma mandare alla gogna star del cinema, registi di culto e produttori famosi, condannandoli preventivamente al rogo, come ai tempi della caccia alle streghe, è un fenomeno inquietante. In nome di una distorsione nel metodo rischia infatti di screditare una battaglia sacrosanta sul piano dei principi. Kevin Spacey, il celebre attore americano già protagonista della serie tv House of Cards, si è presentato ieri di fronte al tribunale sull’isola di Nantucket per la prima udienza relativa alla denuncia per molestie sessuale ai danni di un minorenne. La madre della presunta vittima, Heather Unruh, ex anchor di una tv del gruppo Hearst, l’ha infatti denunciato, dichiarando in una conferenza stampa nel novembre 2017 che durante una serata al Club Car di Nantucket nel luglio 2016 avrebbe infilato la mano nei pantaloni del figlio all’epoca diciottenne, toccandogli il pene per due minuti dopo averlo fatto bere quattro o cinque birre e vari superalcolici. 

Assenti la signora Uruh e il di lei figlio, respinta la richiesta di non comparire in tribunale presentata da Kevin Spacey per «non amplificare la pubblicità negativa relativa al caso», la prima udienza si è conclusa rapidamente. Spacey si è subito dichiarato «non colpevole». Il giudice Thomas Barrett gli ha ordinato di tenersi lontano dal ragazzino, se non vuole rischiare di finire per tre mesi in carcere. Spacey, che ora rischia una condanna fino a 5 anni e ha l’obbligo di registrarsi come molestatore sessuale, ha detto grazie, ha salutato la corte, ed è uscito col suo cappottino col colletto di velluto traversando sotto l’occhio della telecamere l’aula gremita. Prima di Natale, fingendo di recitare nel ruolo di Franck Underwood, protagonista di House of Cards, è apparso in uno strano video su YouTube, proclamando che «la partita non è ancora finita». Adesso lo aspetta la nuova udienza del 4 marzo. Il suo avvocato, Alan Jackson, ha ottenuto dal giudice che i dati dello smartphone della presunta vittima e della sua ragazza fossero conservati per sei mesi dalla data della “molestia”. La scena della mano longa pare infatti essere stata filmata col telefonino. Ma intanto, da un anno a questa parte, il grande attore premio Oscar per American Beauty è oggetto di damnatio memoriae. Licenziato in tronco dalla serie tv, sostituito da Christophe Plummer nelle scene del nuovo film sul miliardario Getty, condannato all’ostracismo e trattato come un pericoloso criminale da bandire dal consorzio umano, è l’ultimo depositario della Lettera Scarlatta, la terribile A, che nell’America puritana descritta da Nathalien Hawthorne perseguitava l’adultera agli occhi della comunità.

La sua condanna rappresenta una sorta di compensazione gay al movimento Me Too contro le molestie femminili che ha falcidiato mostri sacri come Woody Allen e Harvey Weinstein. Ma un Paese che manda al rogo i suoi simboli come se fossero streghe, dopo averne fatto degli dei, un Paese che li mette al bando come reprobi, condannandoli all’ostracismo preventivo, non cade nella giustizia sommaria del pistolero yankee che apriva il fuoco contro chiunque infrangeva la legge? Se le cose stanno così, più che la decadenza dei costumi dovrebbe spaventarci la barbarie. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA