Shelley Duvall riappare dopo decenni: «Ho ancora gli incubi se penso a Shining»

Shelley Duvall riappare dopo decenni: «Ho ancora gli incubi se penso a Shining»
di Riccardo De Palo
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Venerdì 12 Febbraio 2021, 13:58 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 21:55

Shelley Duvall ancora oggi ricorda con terrore le maratone sul set con Stanley Kubrick e Jack Nicholson durante le riprese di Shining, un lavoro che l’ha perseguitata tutta la vita. «Quando mi svegliavo e capivo che avrei dovuto piangere per tutto il giorno andavo nel panico, non so proprio come sia riuscita a farcela». L’attrice che impersonò l'iconico personaggio di Wendy Torrance, inseguita da Jach Torrance impazzito e armato di accetta - aveva girato molti film, si era prestata anche al ruolo di Olive Oyl nel film Popeye, in coppia con Robin Williams, ed aveva avviato una nuova carriera di successo come produttrice di film per ragazzini. Ma,  a un certo punto, perseguitata dai fantasmi del passato, a metà degli anni Novanta decise di lasciare Hollywood e di sparire dal clamore dei media. Nel 2016, comparve in un episodio di "Dr Phil" - show tv condotto uno psicologo e autore televisivo molto popolare in America - e aveva stupito il mondo, rivelando di soffrire di una malattia mentale che aveva trascurato. Poi, scomparve di nuovo dai riflettori.

 

Tra gli spettatori di quella puntata di Dr Phil, che fece molto clamore, c’era anche Lee Unkrich, 53 anni, regista di alcuni successi della Pixar, come Toy Story 3, che è anche un grande esperto del film di Kubrick, a cui dedicò un libro.

La trasmissione non specificava esattamente dove si trovasse l’attrice, così Unkrich decise di andare a cercare quell’attrice «tra le più dimenticate di Hollywood», anche a causa di quella patologia mentale così palesemente non curata. Non era stato un bello spettacolo, vedere Duvall delirare, minacciata da pericoli inesistenti, tra i quali l’imminente irruzione dello sceriffo di Nottingham.

Lo choc di Unkrich era condiviso anche da molti fan dell’attrice, scomparsa per decenni. Prima della grande fuga, Duvall era diventata una produttrice molto prolifica e di successo, che si occupava di trasmissioni tv per bambini. Lo show  Faerie Tale Theatre coinvolse star come Mick Jagger, Jeff Bridges e Carrie Fisher, che interpetavano storie dirette da registi come Burton e Francis Ford Coppola. Ed era lei a curare ogni aspetto di quel programma.

Unkrich decise così di mettersi sulle sue tracce, e riuscì effettivamente due anni fa a localizzare l’attrice, oggi settantunenne, in un remoto paesino del Texas bagnato da un fiume, e si recò nella sua casa, con un pacco di fotografie di scena di Shining, per vedere come avrebbe reagito. Trovò una donna ancora perseguitata da minacce inesistenti, come un fantomatico programma di sorveglianza alieno. Ma era anche molto precisa e coerente, quando ricordava i fatti salienti della sua carriera, di si dimostrava molto fiera.

Così, anche la giornalista di Hollywood Reporter Seth Abramovitch ha deciso di andare a trovare l’attrice scomparsa, nel gennaio scorso, e di intervistarla. Abramovitch ha trovato una donna che nessuno oggi associerebbe al personaggio del film basato sul libro di Stephen King, i capelli ingrigiti, la voce da Minnie Mouse diventata roca a causa delle sigarette che fuma senza sosta, il corpo appesantito dall’età. Shelley Duvall oggi è una donna che vive in una piccola comunità, molto unita, in cui tutti si prendono cura degli altri. E la gente - scrive Hollywood Reporter - sembra amarla molto, e ritenrla più un’eccentrica zia, piuttosto che l’attrice che tutti conoscono. Duvall - che tra le tante stranezze ritiene Robin Williams, morto suicida nel 2014, ancora vivo - ha detto alla giornalista che sua madre è morta nel marzo scorso, per il Covid. «Aveva appena compiuto 92 anni». E quanto ai suoi fratelli, non li vede più da tanto tempo. «Non so proprio dove siano. Tipico, eh?».

Shelley Duvall con il magazine americano ha ripercorso le tappe della sua carriera nel mondo del cinema, dell’incontro con Robert Altman - «dapprima pensavo di essere finita in un set porno» - e del successivo lavoro in sette film, tra i quali Gang (Thieves Like Us), Nashville, Popeye. Il matrimonio con Charles Champlin, durato un solo anno. Gli incontri, in una casa di amici, con Jack Nicholson, Roman Polanski, Warren Beatty. Duvall ricorda dei giorni “divertenti e tranquilli”. E c’era «quel falegname, che aveva trovato un grosso lavoro costruendo una cascata nella casa di un importante dirigente di uno studio cinematografico. Ogni volta che si andava a una festa in quella villa, si vedeva questo spettacolo meraviglioso. Il falegname? Si chiamava Hareison Ford».

Shining, si sa, fu un film molto laborioso. Ci vollero 56 settimane per girarlo: Stanley Kubrick era un perfezionista.  «Kubrick non dava mai per buone le riprese, fino al trentacinquesimo tentativo. E ogni volta per trentacinque volte bisognava correre, e piangere, e trascinare questo ragazzino. Era durissimo». Prima di ogni scena, Duvall ascoltava con il suo Walkman alcune canzoni tristi, per immedesimarsi nella parte. «Ma dopo  un po’ il tuo corpo si ribella, dice: “Basta, non fatemi più questo. Non voglio piangere tutti i giorni”». Kubrick era troppo pressante, addirittura crudele, come è stato scritto? «Forse qualcuno lo aveva trattato in quel modo in passato, ma è sempre stato amichevole con me, ha speso tanto tempo con Jack e con me. Voleva soltanto sedersi vicino e parlare per ore, mentre i tecnici aspettavano. A un certo punto, lo staff gli faceva fretta: ci sono altre sessanta persone che aspettano! Ma lui era fatto così, il lavoro era importante»

C’è una scena in Shining che è stata ripetuta per 148 volte, quella in cui si discute il dono della “luccicanza”: un record mondiale. Eppure, a Duval piacerebbe rivedere il film: «Sì, è passato tanto tempo». La giornalista allora le mostra con il cellulare la scena di Jack che irrompe con l’ascia, e Duvall istantanemente scoppia a piangere.

«Perché piange?» - chiede la giornalista

«Perché abbiamo girato quella stessa scena per tre settimane, ogni giorno. E Jack era bravissimo, era veramente spaventoso. Posso solo immaginare quante donne attraversino simili violenze ogni giorno».

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