Perché, secondo lei?
«Ha fatto un cinema non ideologizzato. A differenza di Pier Paolo Pasolini, che continua ad essere celebrato e perfino strumentalizzato, Fellini non si schierò politicamente. Era un artista rinascimentale, un poeta che aveva come punto di riferimento la provincia e l'umanità delle persone».
È vero che le telefonava all'alba?
«Sì, e per togliere dalla voce ogni traccia di sonno facevo i gargarismi. Mi parlava di libri, film rimandandomi ad altre telefonate inaugurando così un'autentica catena di opinioni. Amava il confronto».
Come andò la lavorazione del film?
«Fu un'esperienza straordinaria in cui venni sempre coinvolto. Prima della scena in casa di Anita Ekberg, mi caricò in auto con Marcello Mastroianni e mi pregò di fargli delle domande per inserirle nel film. Macché burattinaio. Non è vero che facesse dire dei numeri agli attori: cercava scampoli di vita e l'umanità di ciascuno».
Cosa le è rimasto di Fellini? «L'umanità, la generosità, l'ironia, l'umiltà, il gusto della leggerezza. E uno sconfinato amore per la vita».
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