Gitai e l’omicidio Rabin, potenza della memoria

Gitai e l’omicidio Rabin, potenza della memoria
di Fabio Ferzetti
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Martedì 8 Settembre 2015, 17:05 - Ultimo aggiornamento: 15 Settembre, 22:22
Un lungo film che intreccia repertorio e ricostruzione per ricordare il premier israeliano Itzhak Rabin, assassinato da un estremista di destra il 4 novembre 1995 nel centro di Tel Aviv, interrompendo un processo di pace che avrebbe potuto cambiare davvero la storia. Ma soprattutto per colmare i troppi vuoti lasciati dall’inchiesta ufficiale che seguì il delitto. E portare in luce non solo le circostanze fattuali dell’assassinio, i movimenti dell’attentatore, l’operato della polizia e delle forze speciali, la corsa in ospedale, ma il clima politico e culturale in cui maturò, con tanto di torbidi intrecci tra ambienti di estrema destra e forze militari, grazie a un lungo lavoro di indagine personale e alla lettura di centinaia di pagine secretate all’epoca.



INVENZIONI

Abituati alle invenzioni poetiche e rigorose di Gitai, non sapremmo dire se il fluviale Rabin, The Last Day sia uno dei suoi film migliori, ma certo è uno dei più impressionanti e necessari, visto il costante lavoro di ricostruzione della memoria storica a cui ci costringe il bombardamento di informazioni quotidiane. Gitai intreccia continuamente due piani, archivi e finzione. Il premier Rabin, la sua vedova Leah, e l’allora ministro degli esteri Shimon Peres, appaiono in carne e ossa. Tutti gli altri sono interpretati da attori ma ogni parola è autentica, ogni azione è documentata, assicura il regista.



E se non basta la ricostruzione, ecco le immagini delle impetuose manifestazioni anti-Rabin che dilagavano nelle strade delle grandi città israeliane. Una autentica campagna d’odio, scatenata dagli accordi di Oslo e dagli strati più conservatori di Israele, che agitarono i peggiori spauracchi pur di far presa sugli elettori. Ecco dunque il premier raffigurato in divisa nazista, mentre i manifestanti urlano slogan non proprio pacifici come «fermeremo Rabin nel sangue e nel fuoco». Arringati dal futuro premier Benjamin Netanyahu. Ma non basta. Il film di Gitai ci porta anche tra i coloni, nei territori occupati, il terreno di coltura in cui maturò il piano dell’omicida. Tutt’altro che isolato a giudicare dai vari piani anti-Rabin, non sempre deliranti, scoperti dopo l’assassinio.



PREDICHE

O dalla durezza delle prediche dei molti rabbini che non esitano a pronunciare anatemi e condanne a morte sancite dalla religione contro il politico accusato di «togliere la terra agli ebrei». Mentre una psicologa spiega a un gruppetto di sionisti che Rabin soffre di schizofrenia «come tanti leader, a partire da Hitler» (ma la commissione sostenne che tutto questo non era di sua pertinenza).



Un film-istruttoria, che colma un vuoto e dà strumenti preziosi per leggere il Medio Oriente. Mentre era difficile appassionarsi a The Endless River del sudafricano Oliver Hermanus, cupo mélo che lega i destini di un colono francese la cui famiglia viene sterminata da una gang, e di una giovane cameriera del posto, moglie di uno dei gangster locali, sospettato a torto di aver preso parte al crimine ma destinato a sua volta a una fine scura. Tutto piuttosto lambiccato, antiquato e non proprio imprevedibile. Malgrado la presenza luminosa di un’attrice a noi sconosciuta ma bravissima e bella, Crystal-Donna Roberts.
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