Marco Pantani non era solo nella sua stanza quando è morto, il 14 febbraio 2004. E non si era chiuso in camera per disperazione, vinto dalla depressione: dalla stanza del residence Le Rose di Rimini, dove il campione del ciclismo è stato ritrovato senza vita, stroncato da un'overdose di cocaina, era uscito nei giorni precedenti alla sua morte. Anche la sera del 13 febbraio l'ha passata fuori, all'hotel Touring, in compagnia di una escort. E quando è tornato al residence, la mattina del 14, «ha trovato i suoi assassini ad aspettarlo».
Sono le rivelazioni contenute nel film di Domenico Ciolfi, Il caso Pantani - L'omicidio di un campione, al cinema per tre giorni dal 12 al 14 ottobre: un'inchiesta dettagliata - frutto di un lavoro di ricerca del regista, durato quattro anni - che potrebbe far riaprire il caso Pantani, ufficialmente archiviato per suicidio (con l'unico processo a carico degli spacciatori, Fabio Carlino, Ciro Veneruso, Fabio Miradossa e Elena Korovina).
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«Non ho più fiducia nella giustizia, ma voglio andare avanti e spero che questo film possa far riaprire il caso - ha detto ieri la madre dell'atleta, Tonina, presente alla conferenza stampa del film - in questa indagine sono stati fatti molti errori, c'è gente in alto che ha fatto pressioni perché le prove venissero insabbiate.
Qualcuno da ricercarsi, secondo il regista, non tanto nell'ambiente del ciclismo, che pure «ha ucciso Pantani una prima volta, a Madonna di Campiglio, con la falsa accusa di doping, una schifezza», ma piuttosto nei giri della criminalità riminese del tempo, controllata da camorra e ndrangheta, e frequentata da un Pantani in cerca di droga e compagnia a pagamento, con diecimila euro (mai ritrovati) in arrivo sul conto. «Marco è morto in quel contesto. Il suo assassino è ancora a piede libero, ma sono certo che riaprendo il caso, a questo punto, sarà facile identificarlo». Interpretato da tre attori nella parte di Pantani, Marco Palvetti, Brenno Placido e Fabrizio Rongione e diviso in capitoli, il film mette in fila nelle ultime sequenze (intitolate l'omicidio), tutte le incongruenze emerse dalla ri-investigazione degli atti del processo: gocce di sangue mai analizzate, tracce di trascinamento sul corpo, contusioni al viso compatibili con una colluttazione.
E una scena del crimine gravemente compromessa, come a suggerire l'idea che Pantani, in preda a una crisi, avesse voluto spaccare tutto: ma gli oggetti sono solo spostati, non distrutti, e sulle mani del campione non ci sono segni nè graffi. Di più: secondo i paramedici, primi sul posto a esaminare il cadavere, il bolo di cocaina e mollica ritrovato la sera accanto al corpo di Pantani non ci sarebbe mai stato. «Sono tutte cose vere - dice il regista - Alcune le ho scoperte io, ma bastava cercarle. Anche le carte dei processi: bastava leggerle. Ma evidentemente non interessava a nessuno vederle. Le indagini le hanno fatte anche bene, le prove le hanno raccolte. La porcheria sono le conclusioni cui sono giunti a processo».