Agnès Varda, la poetessa del cinema che si abbandonava alla vita

La regista Agnès Varda morta a Parigi all'età di 90 anni
di Leonardo Jattarelli
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Venerdì 29 Marzo 2019, 17:09 - Ultimo aggiornamento: 17:10

Agnès Varda era troppo dolce per mettersi a fare la rivoluzionaria. Ma in realtà aveva la stessa dolcezza malinconica e soave di Francois Truffaut, lo sguardo limpido di Godard e Rivette, la medesima poesia del vivere di Rohmer e Resnais. Ed in più, sì, era una donna. E quando, ai tempi della Nouvelle Vague, Parigi e il mondo inneggiavano al nuovo corso del cinema ma in realtà anche della Storia, lei, la piccola Agnès dagli occhi brillanti e il sorriso ironico, arrivava in retroguardia. Ma questo era il suo spirito e l’orma della sua anima, anche se della Nouvelle Vague è stata una delle ispiratrici insieme con i cari amici sopra menzionati.

Se n’è andata ieri nella sua Parigi (anche se era nata a Bruxelles il 30 maggio del 1928) all’età di 90 anni e fino all’ultimo ha respirato la sua aria che non era l’aria di tutti: conteneva poesia. Perché in realtà, oltre che regista e grande documentarista, Agnès Varda è stata prima di tutto una poetessa, una donna che scriveva con la macchina da presa, versi apparentemente semplici ma così profondamente umani e “verticali” da permetterle di essere da sempre una “contro” ma con lievità. E questo è stato il grande insegnamento della sua arte. Nasce a teatro con Jean Vilar, ama la fotografia, non pensa al cinema ma il cinema le arriva miracolosamente tra le mani: «L’ispirazione non si cattura - diceva -. Quando la si vuole catturare, è andata via. Non bisogna neanche sperare di fare opere poetiche, non bisogna neanche sperare di fare opere straordinarie. In effetti, bisogna lavorare. Bisogna lavorare su ciò che è in disordine, su impressioni inafferrabili, su cose impalpabili».
E così fece attraverso il cinema, riuscendo nella nobile impresa di raccontare l’uomo e la donna e il senso della vita, senza volerli raccontare davvero, ma facendosi ispirare. Lasciandosi andare. Abbandonandosi all’inafferrabile. 

Un Leone d’Oro a Venezia nel 1985 per uno dei suoi film capolavoro Senza tetto nè legge, una Palma d’oro alla carriera arrivata fin troppo tardi, nel 2015 e un Oscar onorario nel 2018. Undici lungometraggi e 20 documentari, opere di rara bellezza come Cleo dalle 5 alle 7 (1962), Le Bonheur (1965) che  ottenne un premio a Berlino, Les Creatures nel ‘66. Poi gli Anni 70 in cui si impone per sempre la sua arte, lo strano quanto vitale sodalizio con Jane Birkin che la portò a girare Jane B. par Agnes nel 1987 e i tre film dedicati al suo unico amore, il marito regista Jacques Demi conosciuto nel ‘58, padre di Mathieu (la regista ha un’altra figlia, Rosalie).



Alla Mostra di Venezia era tornata tre anni fa con un corto-favola e a Cannes aveva scelto di partecipare con orgoglio al movimento #MeToo. Nell’anno in cui la incontrai, unidici anni fa alla Mostra del Cinema in laguna, Agnès presentava fuori concorso il suo Les Plages d’Agnes. Aveva già 79 anni, il corpo curvo ma lo stesso sorriso rassicurante e quegli occhi vispi di una ragazzina impertinente ma senza peccato. In quell’anno alla Mostra si parlò soltanto di donne con Kiarostami, Miyazaki, Tilda Swinton. E si premiava con il Leone d’oro alla carriera un altro poeta del cinema come Ermanno Olmi.



Fu proprio una sera di quel 2008 che Agnes raccontò il suo film, quelle lunghe spiagge che hanno animato la sua vita, il soggiorno americano a Los Angeles, l’amore per i suoi figli. E confessò: «Ho avuto il coraggio o la sfacciataggine di riacchiappare al volo tutte le mie cose, quando ogni frammento di esistenza che avevo immortalato mi sembrava non avesse più vita. Ho “lasciato filmare” la mia macchina da presa cercando di permettere agli eventi di accadere». Non nascose di «vivere da sempre la contraddizione di mostrarsi e, allo stesso tempo, di volersi nascondere».

Poi citò alcuni versi di Montaigne e si chiese: «Ma i miei prossimi, sapranno qualcosa di me? Quando si è anziani è una domanda che ti poni.

Mio figlio - sorrise - dopo il mio film, ha scoperto di me cose che non conosceva». Poi si alzò dalla poltrona non prima di aver confessato: «Io vado verso la vita e credo che valga sempre la pena di raccontarsi agli altri. Mi piacciono le spiagge, sì, e odio le montagne. L’orizzontalità, d’altronde, è anche la mia libertà d’artista».

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