Luca Guadagnino: «Il mio film? Vince la compassione»

Luca Guadagnino: «Il mio film? Vince la compassione»
di Gloria Satta
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Giovedì 25 Gennaio 2018, 08:33

La certezza del trionfo l'ha avuta proprio a Roma mentre era al montaggio del suo nuovo film, il remake di Suspiria. «Sono felicissimo, le quattro nomination all'Oscar rappresentano un traguardo enorme», dice Luca Guadagnino il giorno dopo in un grande albergo del centro di Roma dove la sua presenza e quella dei due protagonisti di Chiamami col tuo nome, Timothée Chalamet e Armie Hammer, ha richiamato una folla di giornalisti e fotografi. Curiosità, attesa, concitazione. Scene quasi da Dolce Vita. Sguardi complici tra il regista e i due ragazzi. Felicità condivisa. «Sono orgoglioso dell'impatto fortissimo che il film sta avendo sul pubblico: mi scrivono donne, uomini, anziani, giovani per dirmi che li ha aiutati a sciogliere alcuni nodi della loro esistenza. Perché parla di empatia, compassione, trasmissione del sapere emotivo: c'è tanto bisogno di queste cose nella nostra epoca individualista e arrabbiata», dice Guadagnino. Subito dopo l'annuncio delle candidature (miglior film, sceneggiatura, attore protagonista Timothée Chalamet, canzone) la sua attrice-feticcio Tilda Swinton gli ha mandato cuoricini, stelline e fiorellini.

INIZIA LA BATTAGLIA
Ma arrivano anche le congratulazioni da tutto il mondo, dove Chiamami col tuo nome, non ancora uscito in tutti i Paesi, ha già incassato 13 milioni di dollari, un record per un prodotto d'autore. «La sorpresa delle nomination mi ha insegnato che passione e inaspettato vanno a braccetto», sorride il regista. Con il 22enne Timothée, divo in ascesa romantico e pallido, (è anche in un altro film finalista all'Oscar, Lady Bird) e il 31enne Armie Hammer, gigantesco ed estroverso (lo vedremo pure in Final Portrait di Stanley Tucci) ha raccontato con delicatezza un primo amore gay. «Ma fermarsi all'omosessualità è riduttivo: il film è la storia di una crescita, della scoperta di sé, di una famiglia illuminata come dovrebbero essere tutte le famiglie», dicono a una voce Luca e i due attori. E pensare che il film del miracolo, in sala da oggi, avrebbero dovuto girarlo Gabriele Muccino o James Ivory. «Il progetto nacque nove anni fa, quando i produttori mi chiesero una consulenza sulla sceneggiatura», racconta Guadagnino. «Ci siamo messi a cercare un regista ma alla fine ho deciso di dirigerlo io con un budget irrisorio». Seguono gli incontri con gli attori, poi anni di silenzio, finalmente la sceneggiatura: estate 2016, le riprese iniziano nella Bassa Cremasca con finanziamenti italiani e internazionali. «Poi, dopo le prime ovazioni al Sundance, capisco di aver fatto centro», dice.

TALENTO TRASVERSALE
L'emozione è palese. Il regista ricorda un aneddoto profetico: «Andavo all'università e, passando con il bus 64 davanti a San Pietro, dissi a una compagna: che diventi Papa è improbabile, ma un giorno avrò la nomination all'Oscar». Oggi gira il mondo, ma si sente italiano nel profondo: «Palermo mi ha insegnato la sensualità». Medita di realizzare il sequel di Chiamami col tuo nome: «Le vite dei protagonisti possono aiutarci a crescere. Sono pronto a fare mia, umilmente, la lezione di Truffaut che dopo I 400 colpi ha continuato a raccontare l'epopea esistenziale di Antoine Doinel: il nostro è Timothée».

CONTRO WOODY
Chalamet, cresciuto a New York in una cosmopolita famiglia d'arte, definisce «un dono» il suo personaggio: «Dimostra che un giovane attore può aspirare a ruoli diversi dal fidanzato o l'amico». E racconta la gioia «e lo choc» per la nomination. Unico tabù: la bocca rimane cucita sulla sua decisione di devolvere al movimento Time's Up il compenso del film A Rainy Day in New York di Woody Allen dopo le ennesime accuse di molestie della figlia adottiva Dylan. «Mi sono pentito di aver lavorato con lui», aveva detto l'attore nei giorni scorsi. Ma a Roma sorvola. «Preferisco parlare delle mie sfide professionali: sul set, devo sempre spingermi oltre i limiti».
 

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