Konchalovskij, in sala il 25 gennaio con “Paradise”. «La Shoah non è un tema del passato»

Una scena del film "Paradise"
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Domenica 21 Gennaio 2018, 18:21
«La Shoah non è un tema abusato. L'ho riproposta perché non la ricorda più nessuno, come nessuno ricorda Mussolini. La gente va su Internet per scoprire queste cose. Il problema della perdita della memoria è davvero serio come ha scritto anche il vostro Umberto Eco in 'Lettera a mio figliò».
Così alla 73/a edizione del Festival di Venezia il regista russo Andrei Konchalovskij racconta 'Paradisè, film vincitore del Leone d'argento e in sala dal 25 gennaio con Ripley's Home Video. Il film racconta, in uno splendido bianco e nero, la storia di tre destini e delle loro coscienze post mortem, ovvero quello di Olga (Yuliya Vysotskaya) , aristocratica russa e membro della Resistenza francese, Jules (Philippe Duquesne), commissario collaborazionista francese, e Helmut (Christian Clauss), ufficiale tedesco delle SS, che si intrecciano inevitabilmente durante la guerra fin dentro i campi di concentramento. Olga, emigrata e membro della Resistenza francese, viene arrestata dai nazisti perché aiuta i bambini ebrei a trovare riparo. Viene mandata così in una prigione dove incontra Jules, collaborazionista francese, che sta indagando sul suo caso. L'uomo, sensibile al fascino di Olga, sarebbe pronto a migliorare la sua situazione in cambio di un rapporto sessuale, ma le vicende prendono una piega inattesa proprio quando lei acconsente pur di evitare la persecuzione. L'aristocratica russa viene infatti portata in un campo di concentramento dove la sua vita diventa un vero inferno. Lì, con sua sorpresa, incontra Helmut, alto ufficiale tedesco delle SS, che un tempo era perdutamente innamorato di lei e continua ad amarla. Fra loro si riaccende la fiamma e nasce una relazione contorta e distruttiva. Helmut decide così di mettere Olga in salvo e progetta insieme a lei una fuga.

«La storia è piena di tragedie, la maggior parte delle quali resta nelle nostre coscienze come errori che non potrebbero ripetersi nel presente - spiega il regista russo classe 1937 che sta girando in Toscana il suo ultimo film dal titolo Il peccato -.
Uno dei momenti più terribili nella storia della nostra generazione è l'ascesa del nazismo e l'annientamento di milioni di ebrei e di coloro che non rientravano nell'immagine di un »ideale« »paradiso« tedesco. Queste atrocità hanno messo allo scoperto gli abissi della natura umana predisposta al male, e nonostante le vicende siano avvenute nel passato, lo stesso tipo di ideologia radicale e piena di odio appare ancor oggi, minacciando vite umane e la sicurezza di tante persone in tutto il mondo». L'uso del bianco e nero, spiega il regista che a Venezia vinse il Leone d'argento anche nel 2014 per Le notti bianche di un postino, «è stato necessario anche per le scene dei campi di concentramento. Se avessi girato a colori tutte queste persone in pigiama a strisce avrebbero fatto pensare al Nabucco, avrebbero banalizzato l'olocausto. La violenza dello spirito è resa meglio dal bianco e nero. E anche per quanto riguarda il dolore - conclude - è troppo facile renderlo con una testa mozzata, ci vuole invece un pubblico che diventa il tuo coautore, che immagina con te».
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