Kasia Smutniak: «Io, donna felice se un regista sa plasmarmi»

Parla la protagonista del nuovo film di Silvio Soldini “3/19”, nelle sale l’11 novembre: «Sono un’attrice istintiva, mi piace cambiare e farmi guidare, anche da un uomo»

Kasia Smutniak: «Io, donna felice se un regista sa plasmarmi»
di Gloria Satta
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Sabato 6 Novembre 2021, 07:39

«Ma chi l'ha detto che per raccontare una donna ci vuole per forza una regista?», si chiede Kasia Smutniak, «Silvio Soldini, che mi ha affidato uno dei personaggi più profondi e credibili della mia carriera, è un uomo eppure ha dimostrato una sensibilità fuori dal comune. Come del resto Peter Del Monte e Ferzan Ozpetek, che mi hanno diretta in passato».

L'attrice, 42 anni e due figli, è la protagonista del film 3/19 di Soldini (in sala l'11 novembre) in cui interpreta, con un'intensità emotiva che già da ora la candida a tutti i premi possibili, un'avvocatessa d'affari di successo nella Milano frenetica della finanza, dei grattacieli, del business.

Grintosissima nel lavoro, pronta a rimanere in ufficio fino all'alba per firmare un contratto, ha rinunciato alla vita privata e soprattutto al rapporto con la figlia. Ma quando rimane coinvolta in un incidente in cui muore un giovane immigrato senza documenti (3/19 è la sigla con cui l'obitorio indica il terzo morto non identificato del 2019), decide di scoprire la sua identità per ricostruire la sua storia e regalargli una degna sepoltura, intraprendendo così un viaggio interiore che le insegnerà a vivere senza rinunciare ai sentimenti.

Anche lei, per la carriera, ha dovuto fare delle rinunce?
«Pochissime, a dire la verità, perché pur amando il mio lavoro ho sempre messo la famiglia al primo posto».


E in cosa le somiglia la protagonista del film?
«Se condivido qualcosa con lei, è l'ansia di ricerca, la predisposizione al cambiamento. E di cambiamenti, nella mia vita, ne ho fatti tanti: nata in Polonia, sono venuta in Italia, ho vissuto prima a Milano e poi mi sono trasferita a Roma. Sono stata bravissima a cambiare spesso identità».


E qual è quella attuale?
«Quella di una persona mai contenta di quello che fa. E sempre passionale, anche nell'impegno sociale».


Di recente è tornata in Polonia per manifestare contro la gestione degli immigrati al confine con la Bielorussia e contro le restrizioni alla legge sull'aborto.
«Ho voluto metterci la faccia. Credo giusto utilizzare la popolarità per far passare un messaggio. Vado in piazza per rendere la politica qualcosa di personale, che merita le nostre passioni».


Per affermarsi in un campo dominato dagli uomini, come la finanza, una donna deve snaturarsi per diventare maschile come fa il suo personaggio nel film?
«Oggi sembrerebbe di sì, si rinuncia inconsciamente alla femminilità per sopravvivenza. Stiamo imparando a confrontarci con la diversità, ma c'è ancora tanto lavoro da fare. Per girare il film, ho incontrato alcune avvocatesse d'affari scoprendo il mondo della finanza con il suo gergo, i suoi riti e le rinunce che chiede alle donne. Una madre difficilmente può fare quel lavoro».


Nel cinema le cose vanno un po' meglio?
«Sì, è un periodo di transizione e sono già in atto dei cambiamenti di cui sono molto contenta. Detesto le quote rosa, non posso nemmeno sentirne parlare, ma forse servono a far sentire il fiato sul collo al sistema. E anche grazie alle piattaforme internazionali che stanno cambiando le regole del gioco anche se a volte in modo poco elegante, oggi ci sono sempre più progetti incentrati sulle donne».


Anche sua figlia Sophie (nata 17 anni fa dal legame con il compianto Pietro Taricone) vuole fare l'attrice?
«Grazie al cielo no e si diverte a ridimensionarmi, prendendomi in giro. Il nostro mestiere è bellissimo, ti regala emozioni ma può anche distruggerti psicologicamente».


Cosa le è rimasto della pandemia?
«La certezza che si è trattato di un periodo unico. Ha comportato la selezione naturale degli affetti e mi ha fatto passare molto più tempo in famiglia. Ha insegnato a tutti noi a non sprecare i bei momenti».


Non le viene la tentazione di passare dietro la cinepresa?
«No. Sono un'attrice istintiva che ha imparato a recitare sul set e grazie alle esperienze della vita. Sono felicissima di farmi plasmare dai registi. In fondo i film appartengono a loro».
 

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