Juliette Binoche: «Io, una brava moglie libera dagli uomini. Il #MeToo non è nato dal nulla»

Juliette Binoche: «Io, una brava moglie libera dagli uomini. Il #MeToo non è nato dal nulla»
di Gloria Satta
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Domenica 19 Gennaio 2020, 12:40 - Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 09:49

Cucinare, rammendare, mandare avanti la casa con abnegazione e senza mai lamentarsi, gestire i risparmi della famiglia preoccupandosi delle esigenze degli altri ma non delle proprie, non bere alcol ma chiudere un occhio se lo fa il marito, alzarsi per prima e coricarsi per ultima, essere sempre di buon umore dimenticando se stesse. Sono questi i doveri di una sposa: parola di Juliette Binoche che nel delizioso film di Martin Provost La bonne épouse, La brava moglie (gran successo in Francia e presto nelle sale italiane), li insegna nella sua scuola per ragazze che hanno come obiettivo il matrimonio. Siamo alla fine degli Anni Sessanta e sulle certezze pre-femministe della zelante signora, capelli cotonati e tailleur pastello, soffia il vento del Sessantotto. E quando il marito muore all'improvviso lasciandola senza un quattrino e rispunta un amore giovanile, la nostra eroina si lascia travolgere dalla rivoluzione e, marciando su Parigi invasa dai manifestanti, dà una svolta alla propria vita. Cinquantacinque anni, un Oscar (vinto nel 1997 per L'insostenibile leggerezza dell'essere), tutta in nero, Juliette è l'incarnazione dello charme francese. Ospite dei Rendez-vous parigini di Unifrance, spiega: «Il film ha il tono leggero della commedia ma il contenuto è molto serio».

E quale sarebbe?
«È il messaggio. Fa capire da dove nasce il femminismo, spiega agli spettatori che un movimento come #MeToo non spunta dal nulla».

Cosa c'è stato all'origine?
«La ribellione di tante donne che la società obbligava ad essere perfette e che gli uomini, impauriti dalla loro libertà, mettevano in una gabbia fisica ed emotiva. La bonne épouse è un film femminista ma nel senso buono, cioè senza essere radicale».

Ma esistevano davvero le scuole per diventare perfette donne di casa?
«Certo. Ne ho sentito parlare da mia nonna che fu costretta a frequentarne una in Svizzera prima di sposare mio nonno, di classe sociale più elevata della sua. Il loro matrimonio finì con il divorzio e la nonna fu costretta a fare la sarta per vivere. E tutto questo, attraverso sua figlia che è poi mia madre, ha avuto un riflesso su di me».

In che modo?
«La mamma ha inculcato a me, come a mia sorella, il concetto che una donna deve essere indipendente. Era una borghese tutt'altro che tradizionalista. Apparteneva ad una generazione di donne che, dopo la guerra, si sono ritrovate senza nulla e hanno imparato a rimboccarsi le maniche per non dipendere da nessuno».

Nell'ultima scena del film, lei balla e canta marciando su Parigi alla testa delle sue allieve e nominando insieme con loro i nomi delle donne che hanno segnato la svolta femminista della società.
«È vero, è un momento gioioso e per questo scandisco i nomi di Simone De Beauvoir, Marilyn Monroe, Frida Kahlo... Sono stata io a suggerire questa scena al regista».

Ma Marilyn, da sempre considerata l'oggetto del desiderio maschile, non rappresenta l'opposto della donna emancipata?
«No, sono gli altri ad aver fatto di lei un oggetto sessuale. In realtà la Monroe ha liberato la sensualità di cui l'amore non può fare a meno».

A che punto è La maison vide, il film di André Techiné che dovrebbe interpretare al fianco di Alain Delon?
«È sospeso a causa dei problemi di salute di Alain. Ma nel frattempo non sto con le mani in mano. Dopo La verità di Hirozaku Kore-eda ho girato Le quiai de Ouistreham di Emmanuelle Carrière sulle dure condizioni delle donne delle pulizie. E a breve negli Stati Uniti comincerò le riprese di Paradise Highway, l'opera prima della regista Anna Gutto».

Ma non aveva deciso di chiudere con il cinema americano?
«Sono fuggita da Hollywood, è vero, ma ho accettato questo film che denuncia la piaga dei bambini rapiti e poi venduti per essere destinati alla prostituzione. In America le vittime sono già 5 mila. Io interpreto una camionista che trasporta i piccoli rubati. Una storia fortissima e un personaggio sconvolgente a cui non ho potuto dire di no. Non siamo noi attori a scegliere i ruoli, ma i ruoli stessi ad imporsi a noi».
 

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