PROPAGANDA
Al terzo e penultimo capitolo della saga di Hunger Games, Il canto della rivolta, l’accento si sposta sui trucchi e sui meccanismi della comunicazione. Che sono gli stessi su ambo i fronti, con i buoni o con i cattivi. Basta con i giochi gladiatori delle prime due puntate. In primo piano non ci sono più i giovani che si scannano in diretta per l’osceno piacere dei ricchi-e-corrotti (al primo episodio, diretto con mano molto più personale da Gary Ross, molti citarono il movimento Occupy Wall Street).
CARISMA
Ora la palla è nel campo dei poveri, che non hanno scelta: devono unirsi e fare la guerra a Panem. Per fare una guerra però ci vuole un leader, provvisto di adeguato carisma. Ma per avere carisma non bastano grinta e coraggio. Bisogna essere imprevedibili, cioè autentici. E poco importa se, come accade appunto a Katniss, questa “autenticità” viene costruita pezzo per pezzo da attenti image makers.
STRATEGA
Come l’astuto Plutarch (Philip Seymour Hoffman, all’ennesimo ultimo ruolo), lo stratega doppiogiochista che prima lavorava per il presidente Snow (Donald Sutherland). O la presidentessa Coin (Julianne Moore), che guida con polso di ferro il risorto Distretto 12. Una base militare segreta e attrezzata per resistere ai bombardamenti di Snow, ma anche per opporre alle sue tv una contropropaganda di cui Katniss, appunto, dev’essere la punta di diamante.
BURATTINO
Ma è difficile restare se stessi se i tuoi alleati ti mettono una troupe alle calcagna 24 ore al giorno. E se poi nel frattempo si scopre che il fido Peeta (Josh Hutcherson), compagno di lotte di Katniss e forse qualcosa di più, non è morto ma è diventato un burattino nelle mani di Snow, che lo usa in tv per soffocare la rivolta. Fingerà? Si sarà venduto? Lo avranno drogato?
TEMI ADULTI
Con un copione così fitto c’era da aspettarsi una regia più inventiva. Lawrence invece dirige tutto con mano ferma ma un po’ pedante, senza guizzi. Va bene privilegiare la chiarezza, specie se si maneggiano temi “adulti” in una saga rivolta ai giovanissimi. Ma insistendo sull’importanza dell’immagine, già abbastanza chiara alle ultime generazioni, trascura l’essenziale. È vero che oggi le guerre si vincono in tv, ma si continuano a combattere nelle strade.
CINEMA DI GUERRA
Lawrence ha studiato a dovere i grandi film bellici del dopoguerra europeo. Sa come si costruisce un’epica della resistenza. Ma se deve mostrare il dolore gli basta una veloce distesa di rovine con teschi, a cavallo tra i lager nazisti e la Cambogia di Pol Pot. E questo è un po’ facile. Anche se ci si rivolge ai più giovani e, si presume, sprovveduti. Ma forse è proprio presumerli sprovveduti a essere troppo comodo.
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