Halle Berry presenta al Toronto International Film Festival il suo primo film da regista: «Ho lottato con i pugni per dirigere Bruised»

Halle Berry in una scena di Bruised
di Eva Carducci
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Sabato 12 Settembre 2020, 13:08
Presentato in versione non definitiva, a causa dei rallentamenti della pandemia da Covid-19, Bruised è la storia di una combattente di MMA (Arti marziali miste) caduta in disgrazia, che deve combattere fuori e dentro il campo. Da un lato lo scontro con una stella nascente, dall’altro quello per l’affidamento del figlio di sei anni. «Ho parlato con diversi registi, affermati e emergenti, ma nessuno riusciva a capire questa storia, nessuno era in grado di entrare nella mia testa» racconta l’attrice durante gli incontri virtuali organizzati nell’ambito del Toronto International Film Festival: «La prima volta che ho letto la sceneggiatura era pensata per una venticinquenne, bianca. Ho fatto cambiare idea ai produttori, volevo quel ruolo a ogni costo. Chi non ama le storie degli sconfitti in cerca di rivalsa? Chi non si è sentito almeno una volta così? Il problema era trovare un regista che mi capisse, alla fine mi ha convinto una delle mie migliori amiche. Nessuno aveva più a cuore di me questo progetto, e ho fatto il grande salto».

Salto che all’attrice è valso due costole rotte durante le riprese e a Bruised un accordo da 20 milioni di dollari con Netflix, per terminare la lavorazione del film e distribuirlo sulla piattaforma di streaming. Il tutto anche grazie al passaggio al Festival canadese. 

Il 2020 doveva essere l’anno delle registe donne, ma con la pandemia e la chiusura dei cinema, l’uscita in sala di quei film, che dovevano segnare un momento fondamentale, è stata rimandata. Trovare un modo alternativo per diffondere comunque quei contenuti, e cavalcare l’onda di movimenti come il Black Lives Matter, è diventato fondamentale.

Lunghi dread e occhio pesto. È irriconoscibile in Bruised l’ex modella diventata attrice nel 1991 con Spike Lee in Jungle Fever: «Ancora oggi devo ringraziare Spike per avermi fatto interpretare una tossicodipendente, e aver dato importanza non solo al mio aspetto. Dio solo sa quanto mi sono allenata a dire le parolacce per quel ruolo. Non mi è mai tornato utile sul lavoro, ma a casa si». 

Da conturbante Bond Girl, che ne La Morte può attendere fece il verso a Ursula Andress, a supereroina. Non solo Catwoman (che le valse il Razzie Award, il premio per la peggior interpretazione), anche Tempesta nella saga degli X-Men (recentemente ha dichiarato di non essersi trovata a suo agio con il regista Bryan Singer, accusato in passato di molestie). Ruoli drammatici nel curriculum e il vezzo per i film d’azione (ne combina di ogni in John Wick 3 al fianco di Keanu Reeves).

Halle Berry è già un nome scritto sui libri di storia, anche se questo l’amareggia profondamente: «Sono stata la prima donna di colore a aver vinto un Oscar come miglior attrice protagonista per Monster’s Ball, e dal 2001 spero che qualcuna possa raggiungere quello stesso traguardo. Ma ogni anno rimango delusa, e sempre più sola». 

Quei cambiamenti auspicati forse sono all’orizzonte, anche se con questa performance rischia di essere nuovamente lei la vincitrice.  
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