Andreotti e il cinema, la storia mai raccontata

il giovane Andreotti nel film di Tatti Sanguineti
di Fabio Ferzetti
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Lunedì 25 Agosto 2014, 20:41
Ci sono voluti cinque anni ma alla fine Tatti Sanguineti ce l’ha fatta. Il suo ritratto di Giulio Andreotti è finalmente pronto e arriva a Venezia col titolo quasi obbligato di "Giulio Andreotti - Il cinema visto da vicino". La durata, andreottianamente, sa di compromesso. Un’ora e mezza, molto meno di quello che prometteva Sanguineti, critico, filologo e instancabile cercatore di tartufi in ogni tipo di archivio, qui in coppia col segugio Pier Luigi Raffaelli, come per il sito Cinecensura. Niente paura però: già si annuncia una versione extended in dvd. Perché quella del cinefilo ligure per Andreotti è stata una vera ossessione. E le ossessioni, si sa, tendono a non avere fine.



PANNI SPORCHI Sul politico più discusso nella storia della Dc pesa infatti la vulgata dei «panni sporchi». Andreotti nemico del cinema, occhiuto censore, normalizzatore di dialoghi e inquadrature, eccetera. Sanguineti ribalta il tavolo citando un testimone più che autorevole: Rodolfo Sonego, sceneggiatore di Sordi e ex comandante partigiano della brigata Garibaldi sull’altipiano di Belluno. Uno insomma politicamente agli antipodi del divo Giulio. Che un giorno però, alla fine di una intervista con Sanguineti, sbottò: «Voi non avete capito niente di niente. Se volete capire cosa è successo veramente in quegli anni dovete andare da Andreotti. Andreotti ha ammazzato cinque film, ma ne ha fatti fare cinquemila».



RILANCIO Verissimo anche questo. Sottosegretario con delega allo spettacolo, Andreotti fu il primo politico italiano a capire l’importanza del cinema, per l’economia come per la cultura. E se da un lato fece di tutto per non lasciarlo in mano alle sinistre, largamente egemoni durante la ricostruzione e il boom, dall’altro ne favorì il rilancio industriale. Tessendo alleanze a 360 gradi e varando una legge, nel ’49, che frenava l’invasione Usa (c’erano 8000 titoli made in Hollywood bloccati dall’autarchia pronti a uscire). Anzi finanziava i film italiani con la tassa sul doppiaggio.



CINECITTÀ Sotto Andreotti e grazie a Andreotti nasce una nuova generazione di produttori, gli ultimi sfollati che ancora bivaccavano nei teatri di posa lasciano Cinecittà, gli studios della Tuscolana ripartono a pieno ritmo, aprono 4000 sale parrocchiali, attente al film che programmano, dunque destinate a influenzare gusti e umori di milioni di spettatori. Ma soprattutto Andreotti moltiplica gli sforzi per fare del cinema uno strumento di coesione politica e sociale. Censurando anche la strana cordata cattocomunista (da Diego Fabbri a Zavattini) guidata dall’integralista Luigi Gedda, che alla vigilia della svolta filoatlantica di De Gasperi firma "Guerra alla guerra", macabro film di propaganda (anche) anti-Usa, tolto prontamente di mezzo per non disturbare i manovratori.



FELPATO Un Dr. Jekyll insomma, più che un Talleyrand, tanto che lo stesso Andreotti con (falso?) candore in apertura ricorda quanto si appassionò da ragazzo al film di Mamoulian con Fredric March («Lo vidi tre volte, addirittura»). Anche se accanto all’intelligenza politica e alle strategie industriali ci sono mille interventi felpati e letali. Ed ecco che in "Umberto D." la servetta viene messa incinta da un soldato di leva e non da un carabiniere, mentre il pensionato non scrive più “Merda!” sul muro di casa, e per ottenere più zuppa non scatena una rivolta ma dice il rosario.



ARCHIVI Ecco, che tra carte d’archivio e note autografe del sottosegretario, Lattuada rinuncia per sempre al suo "Miss Italia" (colpa del personaggio di un prete affarista), la Loren si riveste (il seno nudo in "Era lui... Sì! Sì!" lo vedranno solo i francesi), e Totò deplora il «pesce democristiano» che “impalla” inopportunamente le grazie di Isa Barzizza in "Fifa e arena". Mentre il doppiaggio trasforma in «Bartali» l’irriguardoso «De Gasperi» pronunciato sempre dal grande comico in "Totò e i re di Roma".



Altri tempi, rimpiange Andreotti. Oggi basta accendere la tv per assistere alla «monta taurina del Grande Fratello». Siamo proprio sicuri che sia un grande passo avanti?

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