Gustaf Skarsgård alias Floki: «Vikings? Spero finisca meglio del Trono di Spade. Ora lotto per il bene»

Gustaf Skarsgård alias Floki: «Per Vikings un buon finale e poi basta, ora lotto per il bene»
di Ilaria Ravarino
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Giovedì 24 Ottobre 2019, 10:53 - Ultimo aggiornamento: 21:06

Bisogna immaginarselo, un metro e novantatre di ragazzone svedese, confinato in un camerino dove nessuno può vedere come l'ha ridotto, per l'ennesima volta, il reparto trucco: «Sono completamente ricoperto di sangue finto», geme lui, Gustaf Skarsgård, mentre risponde all'intervista dall'altra parte del telefono. Impegnato in Inghilterra sul set di Cursed, la nuova produzione Netflix sulla saga di Re Artù, lo Skarsgård vichingo ieri non ha potuto partecipare alla Festa del Cinema di Roma, dove è passato il suo 438 Days, diretto da Jesper Ganslandt.

Kit Harington, dal Trono di Spade a "The Eternals" della Marvel

Un solido film sulla storia vera dei giornalisti Martin Schibbye e Johan Persson (interpretato dall'attore di Narcos Matias Varela), che nel 2011, indagando sui traffici opachi di una compagnia petrolifera svedese, furono catturati, accusati di terrorismo e incarcerati in Etiopia per più di un anno. Un ruolo che libera Skarsgård dall'ombra del brutale marinaio Floki, interpretato per sei stagioni nella saga di Vikings (la sesta e ultima su TimVision dal 5 dicembre), e da quella, ancora più lunga, della sua famiglia di attori: il padre Stellan, il fratello maggiore Alexander e i minori Bill e Valter.

Perché un film su un caso chiuso quasi dieci anni fa?
«Perché è una storia importante. Racconta la forza che ha il giornalismo quando è libero e indipendente, non sottomesso al potere. È un film che ci dice chi sono gli eroi e chi i banditi: l'eroe è chi rischia la vita per il bene degli altri, i banditi sono quelli che rischiano la sicurezza degli altri per il proprio beneficio. Martin e Johan sono eroi».

In Europa abbiamo un buon giornalismo?
«Abbiamo tutta la gamma, dagli orribili tabloid all'ottimo giornalismo di inchiesta. La libertà di stampa esiste e nessuno in Europa può finire in carcere per un'inchiesta. Ma ci sono, senza dubbio, limiti alla libertà d'espressione. Si può magari venire licenziati o emarginati per avere fatto le domande sbagliate».

Ha incontrato il vero Martin Schibbye?
«Sì, è stato fondamentale. In lui c'è una forte componente di idealismo, ma anche una sorta di gusto per l'ignoto e per l'avventura. Ho letto il libro che ha pubblicato dopo la liberazione e guardato il materiale video sulla sua cattura, avvenuta in mezzo al deserto. Ho potuto accedere ai filmati che lui e Johan avevano girato prima di entrare clandestinamente in Etiopia».
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Who’s ready for season six? Floki might not have made it out of the cave but I’m as excited as the rest of you to follow the fates of all the other characters! Hail King Björn! Premieres on Dec 4!

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L'intesa con Matias Varela, che interpreta Johan, è sorprendente.
«Siamo amici da tredici anni, abbiamo fatto il liceo insieme. È una delle persone che mi conosce meglio al mondo».

Che ci fa ora su un set Netflix?
«Interpreto Merlino in Cursed, una serie su Re Artù basata su un libro di Frank Miller e Thomas Wheeler, che sono anche produttori e autori dello show. È una versione per adolescenti della leggenda arturiana, costruita intorno a una ragazza che un giorno sarà la Dama del Lago. È divertentissimo, pieno di fantasy e magia».

E poco sangue, rispetto a Vikings.
«E invece no. Anche in Cursed c'è moltissimo sangue. In questo momento ne sono coperto da capo a piedi».

Vikings sta per arrivare alla conclusione. Le dispiace?
«È stata un'esperienza formativa che ha risucchiato anni interi della mia vita. Amo il mio Floki, vivere insieme a quel pazzo per tutto questo tempo è stata un'esperienza irripetibile. Non lo dimenticherò mai».

Il finale della saga sarà meglio di quello de Il Trono di Spade, bocciato dai fan?
«Speriamo di non fare la fine dell'ultimo episodio de Il Trono. Incrociamo le dita».

Suo fratello Bill è a Hollywood. A che punto è la sua carriera internazionale?
«Non sto insistendo per averne una per forza. Faccio quello che ho, meglio che posso. Non sono uno stratega. In vita mia non ho mai pensato in termini di carriera. Non sono uno di quelli che puntano con grinta sul futuro. O almeno: fare così mi ha sempre portato fortuna».

Quindi una strategia ce l'ha.
«Sì: non avere una strategia. E fare sempre una cosa alla volta».
 
 

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