Paolo Genovese: «Le commedie prima sbancavano, ora si vedono sulle piattaforme. Al cinema si va per film unici»

Il regista con "Il primo giorno della mia vita", in sala il 26 gennaio con Medusa interpretato da attori come Toni Servillo, Margherita Buy, Valerio Mastandrea, Sara Serraiocco

Paolo Genovese: «Le commedie prima sbancavano, ora si vedono sulle piattaforme. Al cinema si va per film unici»
di Gloria Satta
4 Minuti di Lettura
Martedì 24 Gennaio 2023, 06:50

Avere una seconda possibilità: «Da Immaturi a Perfetti sconosciuti è proprio questo il filo rosso del mio cinema», dice Paolo Genovese. Non fa eccezione il suo nuovo film: Il primo giorno della mia vita, in sala il 26 gennaio con Medusa. Ispirato al romanzo omonimo del regista romano (Einaudi), interpretato da superbi attori come Toni Servillo, Margherita Buy, Valerio Mastandrea, Sara Serraiocco a cui si aggiunge il dodicenne Gabriele Cristini, il film ha per protagoniste quattro persone che, senza conoscersi e per motivi diversi, decidono di farla finita. Ma subito dopo essersi suicidate, incontrano un tipo misterioso, Uomo, che concede loro una settimana di tempo per cancellare quel gesto estremo «e tornare e rinnamorarsi della vita». Basta che lo vogliano. Libero arbitrio, responsabilità, destino sono i temi alti e potenti affrontati nel film che, come il libro, avrebbe dovuto essere ambientato a New York e interpretato da attori americani. Ma la pandemia ha cambiato i piani e Manhattan è stata rimpiazzata da Roma, esaltata dalla fotografia mai retorica di Fabrizio Lucci.

Genovese, rimpiange di non aver avuto star americane come Paul Giamatti che era interessatissimo al progetto?
«Assolutamente no.

Ho riscritto la sceneggiatura che, nella mia lingua, ha colto più sfumature. Sono felicissimo dei miei attori italiani, nessuno avrebbe potuto fare meglio. E Roma diventa un posto assoluto, magico».

Ha pensato a La vita è una cosa meravigliosa?
«Il primo giorno della mia vita è complementare al cult di Capra in cui un angelo mostrava all'aspirante suicida cosa sarebbe successo se non fosse mai nato. Nel mio film Uomo anticipa il futuro ai 4 disperati se rinunciano a morire».

Ma com'è nata l'idea della storia?
«Da un documentario sui sopravvissuti al volo dal Golden Gate, il famoso ponte di San Francisco da cui si suicidano in tanti: erano quasi tutti pentiti del loro gesto estremo. Il film afferma che nella vita ci si salva. Se tocchi il fondo, puoi risalire. C'è sempre qualcuno che può aiutarti a cambiare prospettiva. La speranza ti fa andare avanti».

Dopo la pandemia e con una guerra in corso, c'è posto per la speranza?
«Sì, e sono molto felice che il film, pronto da due anni e congelato proprio dal covid, esca in questo momento: è quello giusto perché c'è l'esigenza di ripartire».

Ma il pubblico non vuole l'evasione?
«Le commedie che 10 anni fa sbancavano il box office oggi si possono vedere sulle piattaforme. Per uscire di casa, la gente ha bisogno di film unici, straordinari, con una forte personalità: lo dimostrano i grandi incassi di La stranezza e Otto montagne. Oggi il pubblico dobbiamo meritarcelo».

Cosa l'ha spinta a dirigere la serie I Leoni di Sicilia che si vedrà a ottobre su Disney+?
«Il desiderio di imparare un linguaggio diverso, la voglia di raccontare l'Ottocento italiano attraverso una grande storia siciliana. Mi è sempre piaciuto variare».

Perché ha interpretato autoironicamente sé stesso nella versione italiana della serie Call my Agent su Sky?
«Per capire cosa si prova a stare davanti alla cinepresa: d'ora in poi vorrò ancora più bene ai miei attori. Raccontare il dietro le quinte dello spettacolo può avvicinare il pubblico al cinema. Nell'episodio che mi riguarda, il progetto di Perfetti sconosciuti viene incredibilmente bocciato: è un omaggio al mio film».

A quanti remake è arrivato?
«Ne sono stati realizzati 21, l'ultimo in Islanda. E il 10 febbraio debutterà a Caserta la versione teatrale con la mia regia. Saremo all'Ambra Jovinelli in aprile».

Tornerà a dirigere una commedia?
«Sì, purché affronti argomenti profondi, destinati a far riflettere il pubblico. È un'esigenza che ho maturato nelle ultime stagioni. Puntare solo a far ridere non fa più per me».
 

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