Festa cinema Roma, arriva L'uomo che volò su New York, il film sull'incredibile impresa di Philippe Petit

Festa cinema Roma, arriva L'uomo che volò su New York, il film sull'incredibile impresa di Philippe Petit
di Fabio Ferzetti
3 Minuti di Lettura
Martedì 20 Ottobre 2015, 03:45 - Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 15:53
Cose incredibili, uno: la mattina del 7 agosto 1974 un francese che di lì a poco avrebbe compiuto 25 anni camminò avanti e indietro su un cavo d'acciaio teso fra le Twin Towers a 400 metri dal suolo per circa 45 minuti con il solo ausilio di un bilancere mentre sotto di lui si riuniva una folla ipnotizzata da un misto di gioia e di terrore senza nome come l'impresa a cui assistevano: arte, follia, sfida alla Natura, esperienza mistica?

Cose incredibili, due: nessuno riprese l'evento. Di quell'irripetibile passeggiata, preparata a lungo in voluttuosa clandestinità e del tutto illegale, restano solo le foto scattate dai suoi complici. Ma soprattutto nessuno ne fece un libro o un brand, nessuno trasformò quella performance in un prodotto, il funambolo - che giustamente preferisce definirsi artista - non si arricchì con l'impresa, come ricorda il suo ammiratore Paul Auster, ma continuò a praticare a New York e in giro per il mondo.

Terzo fatto incredibile: perché questa storia diventasse un film ci sono voluti quarant'anni, diversi libri scritti dallo stesso Philipe Petit (tutti Ponte alle Grazie). E soprattutto un bellissimo documentario di James Marsh concepito quasi come un thriller, Man on Wire, 2008, il miglior prologo possibile al magnifico film di Robert Zemeckis, The Walk. Perché Zemeckis non inventa praticamente nulla, semmai sfronda, sintetizza, tanto eventi e personaggi sono eccezionali (intorno a Petit c'era una piccola banda di poeti e anarchici alla Ocean Eleven). Anzi, si rimpiange che non si prenda mezz'ora in più per dettagliare la genesi di quello che Petit chiama “le coup”, il colpo, e approfondire il personaggio e il suo percorso.



CATAPULTA

Ma è ovvio che l'intero The Walk è concepito come una catapulta per portarci verso quel lungo e grandioso finale che allarga una volta di più - ultima cosa incredibile - i confini del cinema (se abbiamo aspettato tanto è perché il film era tecnicamente impossibile fino a pochi anni fa). Dunque accontentiamoci. Degli inizi di Petit (perfetto Joseph Gordon-Levitt) sapremo appena abbastanza, in una chiave un po' disneyana che è l'unico punto debole di un film grandioso e scintillante d'energia come le Twin Towers.



Lo vediamo scoprire i funamboli da bambino, allenarsi in giardino e poi di nascosto sotto la tenda del circo del suo futuro maestro (il sempre impagabile Ben Kingsley), correre in monociclo per Parigi, rubare il pubblico e poi il cuore a un'altra artista di strada (Charlotte le Bon), ma soprattutto portarsela dietro sul cavo, durante gli esercizi, nella sola scena d'amore del film, perché quella di Petit è un'esperienza interiore, solitaria, quasi mistica, che esclude ogni contatto.



Ma è quando finalmente arriva a New York, dopo essersi “scaldato” su Notre Dame, che The Walk decolla letteralmente verso un'altra dimensione in cui tutto, il materiale e l'immateriale, la tecnica e la poesia, il pericolo e l'ebbrezza, si mescola e si trasfigura. Le manovre per sfuggire alla sorveglianza, un verricello per tendere un cavo d'acciaio, uno stratagemma (molto zen) per portare una corda da una torre all'altra, ovviamente le mille cose che accadono quando Petit è sul cavo, tutto concorre a creare una vertigine indescrivibile a cui il cinema, semplicemente, non era ancora mai arrivato. Nessuno ripeterà mai quell'impresa, anche perché le Torri gemelle non esistono più. E nessuno, prima di The Walk, ci aveva ancora convinto che il 3D servisse davvero a qualcosa.