Ferretti e le meraviglie di Cenerentola
"Credo ancora nelle favole"

Lily James in una scena di
di Gloria Satta
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Venerdì 13 Marzo 2015, 10:59 - Ultimo aggiornamento: 11:00
Una carrozza d’oro, tutta cesellata, a forma di zucca gigante. Il salone da ballo a tre piani del Palazzo Reale con la sua imponente scalinata, i 17 lampadari di cristallo alti cinque metri e rischiarati da 5mila candele a olio (e accese tutte a mano), gli arredi maestosi, i giardini, le fontane zampillanti. E poi una serie di ambienti fastosi, caldi e colorati, in cui si muovono i nuovi protagonisti in carne e ossa di una favola che sfida il tempo e le mode.

E’ questa la cornice kolossal concepita dallo scenografo tre volte premio Oscar Dante Ferretti per Cenerentola, il film Disney appena uscito nelle sale diretto da Kenneth Branagh e interpretato da un plotone di star (Cate Blanchett, Helena Bonham-Carter, Lily James, Richard Madden). «Non si è trattato di una creazione difficile: da quando lavoro nel cinema vivo immerso in una favola», spiega Ferretti da Taiwan, dove sta ricostruendo il Giappone seicentesco per il nuovo film di Martin Scorsese Silence, attualmente in lavorazione.

Lo scenografo, che da sempre crea in tandem con la moglie set decorator Francesca Lo Schiavo (anche lei vincitrice di tre statuette), assicura di sentirsi un eterno bambino. «Ho 72 anni, ho costruito gli ambienti di 50 film diretti da grandi registi come Fellini, Pasolini, Petri, Ferreri, Gilliam, Burton, Scorsese eppure non ho perso la voglia di dare fondo alla fantasia per regalare al pubblico emozioni», spiega.

OPULENZA. Per le scenografie di Cenerentola, costruite negli sterminati studi londinesi di Pinewood, si è ispirato all’architettura nordeuropea del XVI, XVII e XVIII secolo. «Ho attinto alle atmosfere magiche e opulente del Barocco, avendo in mente l’Europa del vecchio mondo che ben si addice a Cenerentola e ai suoi personaggi eccentrici», dice. «Mia moglie ha commissionato in Italia 2.800 metri di stoffe preziose, i tendaggi di velluto, i lampadari imponenti, tutti gli arredi che si vedono nel film».

Nell’era del computer che a colpi di clic crea situazioni, personaggi e magie mentre gli attori spesso sono costretti a recitare davanti a uno schermo verde che verrà poi riempito digitalmente, Ferretti è l’ultimo artigiano a lavorare dal vero. «Disegno ancora a mano i bozzetti dei miei progetti», racconta, «e mi servo della tecnologia solo come braccio operativo della mia fantasia».

Nato a Macerata e oggi cittadino del mondo, architetto mancato, celebrato due anni fa da una grande mostra al MoMa di New York, lo scenografo ha ricevuto i tre Oscar rispettivamente per le grandiose ambientazioni d’epoca di The Aviator di Scorsese (nel 2005), per il visionario Sweeney Todd diretto da Tim Burton (2008) e per l'universo incantato in 3D di Hugo Cabret (2012), una favola ancora firmata da Scorsese.

«Con Martin ho lavorato nove volte e ormai ci capiamo al volo senza troppe parole», racconta. «Prima di cominciare le riprese, lui mi spiega il progetto, ascolta le mie impressioni e spesso guardiamo insieme dei vecchi film. Poi, più nulla. Francesca e io abbiamo carta bianca e quando la lavorazione è avanzata, il regista immancabilmente mi fa: Great, grande! E’ andata così sul set di L’età dell’innocenza, Casinò, Gangs of New York e di tutti gli altri suoi film ai quali ho lavorato».

DIABOLIK. Da vent’anni Ferretti non lavora in Italia, dove i ridotti mezzi del cinema non permetterebbero le sue ambientazioni grandiose. «Ma non è soltanto una questione di soldi», spiega, «il cinema che si fa oggi nel mio Paese non ha bisogno di grandi scenografie». Cattleya e Sky stanno però per riportarlo in patria: finito Silence, il maestro metterà mano al set di Diabolik, imponente serie internazionale ispirata al celebre fumetto anni Sessanta creato da Angela e Luciana Giussani.

«Ho già preparato le ambientazioni di questa fiction che sarà tutta realizzata a Cinecittà, il mio regno, dove ho costruito i set di Fellini e dove ho lo studio da quarant’anni», racconta Ferretti. «Ho girato il mondo intero, visssuto nelle grandi metropli di ogni continente ma la mia città del cuore rimane Roma: dal punto di vista architettonico, è una miniera inesauribile e mi basta camminare a naso in su osservando i palazzi per trovare l’ispirazione».

I signori Ferretti tengono i sei Oscar, insieme a decine di altri premi, su una mensola Ikea nella loro spettacolare casa di Roma. E Dante assicura che lavorare in coppia con la moglie mette il turbo alla sua fantasia. «Senza Francesca non sarei mai arrivato dove sono», dice. «Il suo talento e la sua sensibilità mi permettono di fare al meglio il mio lavoro». Come lo definirebbe? «Materializzo i sogni dei registi e per farlo devo ogni volta reinventare la realtà».





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