Fabrizio Moro e il debutto da regista con Ghiaccio: «Porto al cinema il mio fare a pugni con l’esistenza»

Fabrizio Moro e il debutto da regista con Ghiaccio: «Porto al cinema il mio fare a pugni con l’esistenza»
di Mattia Marzi
5 Minuti di Lettura
Venerdì 28 Gennaio 2022, 08:43

Sono due vite parallele, quelle di Fabrizio Moro e di Giorgio Orsini, il giovane pugile interpretato da Giacomo Ferrara in “Ghiaccio”, il film che segna l'esordio del 46enne cantautore romano alla regia. Dalle borgate romane San Basilio, nel caso di Moro, il Quarticciolo nel caso del personaggio del film alla conquista del successo, ciascuno nel rispettivo campo. Schivando i diretti, i montanti, i ganci e anche qualche incidente di percorso che la vita riserva (Moro non ha mai nascosto di aver fatto uso di stupefacenti in passato, come Orsini nel film). Tutto girato a Roma e recitato in romanesco, Ghiaccio scritto e diretto da Moro con Alessio De Leonardis, già al fianco dei fratelli Taviani e Gabriele Mainetti è ambientato nel 1997: Vinicio Marchioni interpreta Massimo, il maestro che aiuta il giovane boxeur a riscattarsi. Il film arriverà al cinema come evento il 7, l'8 e il 9 febbraio, dopo la partecipazione di Fabrizio Moro al Festival di Sanremo 2022 con Sei tu (fa parte della colonna sonora e dell'Ep La mia voce, in uscita il 4).

Quando avete iniziato a girare?

«Esattamente un anno fa. La sceneggiatura l'avevo scritta durante il primo lockdown, ispirandomi al pugile napoletano Mirko Valentino (fa un cameo, nei panni del rivale di Orsini, ndr).

Inizialmente pensavo che girare un film fosse un'impresa insormontabile».

Aveva esperienza come regista?

«L'anno scorso ho diretto il videoclip di Sogni di rock'n'roll di Ligabue. Per Ghiaccio è stato fondamentale l'aiuto di De Leonardis, con il quale collaboro da anni per i video delle mie canzoni. Me la sono cavata».

È filato tutto liscio, sul set?

«Non proprio. Al primo ciak sono risultato subito positivo al Covid. Produzione bloccata, tutti a casa».

E poi?
«Fortunatamente si trattava di un caso di falsa positività. Ma dopo quello spavento siamo stati tutti attentissimi ad evitare di contagiarci».
Quanto c'è di personale nella storia?
«Tanto. La frustrazione del marciapiede che prova Giorgio, io me la porto ancora dietro. Il mio riscatto sociale l'ho trovato con la musica».

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Il suo maestro?

«Walter, un angelo custode. Faceva il batterista, all'epoca. Mi tolse dalla strada e mi fece iniziare a suonare».
Prima di allora? «Ero un inetto. Passavo i pomeriggi in piazzetta a farmi le canne e altre cose che non avrei dovuto fare».
Se non avesse incontrato Walter?
«Non saprei. Magari a quest'ora farei lo spacciatore».
La svolta?
«Arrivò a 32 anni. Merito di Pippo Baudo. Mi portò a Sanremo tra i giovani nel 2007, con Pensa. Vinsi e riscattai il passaggio di sette anni prima, quando arrivai tredicesimo con Un giorno senza fine».
Cosa si mise a fare dopo?
«Di tutto. Cameriere, meccanico. Pure il facchino in un noto albergo romano, il Parco dei Principi. Venivo dalla strada, con in tasca la licenza media. Pensa mi fece capire che potevo davvero fare il cantante. Che non è un mestiere migliore di quelli che facevo, che hanno una dignità assoluta: però era quello che sognavo di fare io».
In che misura cambiò la sua vita? «Fino ad allora guadagnavo 1200 euro al mese. Con l'importo del primo assegno che mi arrivò dalla Siae, un anno dopo il Festival, potevo permettermi di versare un acconto importante per l'acquisto di una casa».
Fu tutto più semplice, poi?
«Per niente. Dopo Eppure mi hai cambiato la vita la giostra si fermò. I discografici mi prendevano in giro: Ma Moro ancora canta?».
Cosa non funzionò?
«Il mio carattere. Non mi permetteva di accettare certe imposizioni. Dissi: Alt. E fondai un'etichetta tutta mia. Era il 2013».

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Andò meglio?
«Macché. Mi ritrovai escluso da tutto».
Il destro più duro?
«Quando presentai alle selezioni di Sanremo L'eternità. Venne scartata con recensioni verbali ignobili da parte di chi sceglieva».
C'erano Fabio Fazio e Mauro Pagani.
«Pensai di essere un fallito. Oggi quando la canto vengono giù i teatri e i palasport».
«La cosa più importante non è cadere giù, ma saper rialzarsi», spiega Massimo a Giorgio, nel film. Lei quando si è rimesso in piedi?
«Nel 2017, con Portami via, dedicata a mia figlia Anita (10 anni, ndr). Al Festival arrivai settimo, però poi vendette 100 mila copie, doppio Disco di platino. E l'anno seguente vinsi, in coppia con Ermal Meta con Non mi avete fatto niente».
«Ho imparato che nella vita c'è sempre qualcosa per cui combattere», dice Giorgio alla fine del film. Lei per cosa combatte, oggi?

«Per i miei figli. Perché possano imparare che nella vita è possibile fare qualsiasi cosa, con la forza di volontà. All'inizio del lockdown confidai a Libero (13 anni, ndr) che avevo intenzione di girare un film. Ghiaccio lo andrò a vedere con lui. E ne sto scrivendo già un altro».

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