Ettore Scola, il suo cinema rivivrà nello straordinario archivio realizzato dagli eredi

Ettore Scola, il suo cinema rivivrà nello straordinario archivio realizzato dagli eredi
di Andrea Velardi
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Mercoledì 28 Novembre 2018, 13:57
«Non c’è passione politica, se non c’è passione per l’umanità». E’ uno slogan veramente peculiare per una poetica cinematografica quello pronunciato da Ettore Scola in una famosa intervista, ma il grande Maestro del Novecento Italiano, ha sempre avuto di mira l’impossibile armonia, la faticosa traduzione in immagini e storie visive dell’impegno per la descrizione pregnante, la critica e la trasformazione della società, soprattutto della sua cellula più cruciale e problematica: la famiglia. Tutto questo emerge anche dal lungo lavoro di costituzione dell’Archivio Ettore Scola intrapreso dalla figlia Silvia, con il nipote Marco Scola Di Mambro, e la sorella Paola. E’ Silvia, da sempre impegnata nella promozione e nell’approfondimento del lavoro del padre già quando lui era in vita,  che parla rivelando oggetti e aspetti inediti della catalogazione durante l’evento tenutosi Lunedì 25 novembre presso la Cappella Orsini, centro polifunzionale culturale sito accanto Campo de’ Fiori, unico nel panorama romano dove resiste alla massificazione col suo glamour internazionale e la qualità della sue iniziative come il Pasquino Rap Festival, ideato dal direttore artistico Roberto Lucifero che, in un percorso dove si intrecciando le invettive rinascimentali al destino della canzone romana, mette a tema l’identità di una capitale in cui, nonostante la decentralizzazione, qualsiasi oblio del cuore storico produce inevitabilmente una seria minaccia alla sua essenza. Da qui gli eventi dedicati a registi come Ettore Scola che hanno descritto in modo realistico il rapporto periferia-centro, degrado-borghesia.
 
La seconda parte del Festival si concentrerà dal 12 dicembre sulla Roma ottocentesca del «Marchese del Grillo» di Monicelli, sulla Roma risorgimentale e in particolare sul racconto della grande parentesi della Repubblica Romana. L’evento si è svolto nella doppia cornice di una mostra di ritratti di attori romani e della esposizione «Cambellottiana», con la preziosa e originalissima collezione di Stefano Pucci dedicata all’oggettistica artistica e al design italiano dagli anni '20 a gli anni '70. Il percorso inizia con alcuni esempi della Ceramica Romana di Lanni e Squarciarelli fino ad esempi di design con uso di materiali poveri come il legno e la pietra come gli animaletti ritagliati nel travertino di Rapolano dei Fratelli Mannelli, ceramiche ispirate alla tradizione arcaica etrusca, per chiudersi con tre esempi dell'artigianato di livello degli anni 70, l'iconico icebucket a forma di ananas e quello a forma di carciofo di Mauro Manetti, e un vaso orientaleggiante in vetro nero di Venini.
 
Ma torniamo all’Archivio Ettore Scola. Siamo all'inizio di una impresa, cominciata già all’indomani della scomparsa del regista nel gennaio 2016, che gli eredi sperano di completare per l'autunno del 2019. Silvia Scola mostra la sceneggiatura originale di «Brutti, sporchi e cattivi» (1976) e un volume straordinario in cui il regista ha raccolto i disegni di tutte le inquadrature del film in fogli pieni di abbozzi, prospettive a largo spettro, restringimenti di visuale, integrazioni verbali fatte di didascalie e commenti, un volume che costituirà senza dubbio uno strumento ricchissimo per capire il lungo e analitico processo di traduzione dall’idea alla ripresa  in un maestro del cinema che non amava lo storyboard, la sequenza pedissequa, quasi già realizzata, di immagini e scene del lungometraggio, ma che preferiva schizzi, accenni, memo dei personaggi e dell’ambientazione  Un’attitudine molto simile a quella di Federico Fellini, tratto comune esplicitato nel documentario «Che strano chiamarsi Federico», dedicato da Scola al ventennale della scomparsa del regista di «Amarcord», con cui tornò a girare dieci anni dopo l’ultimo film «La cena» (1998). Un racconto filmico per allusione e cenni, più che una narrazione puntuale, con elementi ricorrenti che possono caratterizzare un vero e proprio metodo Fellini-Scola.
 
Anche la tipologia e le modalità con cui sono stati ritrovati gli oggetti dell’Archiviooffrono la cifra di un modo di sognare e lavorare con i tanti migliaia di disegni raccolti in piccoli blocchetti e piegati, ma non tenuti in ordine.  Silvia ci fornisce un elenco più dettagliato e preciso di cosa troveremo a inventario concluso: la prima macchina da scrivere; le 200 sceneggiature originali (molte delle quali con revisioni autografe); un centinaio di soggetti; manoscritti vari (racconti, idee per film, appunti, articoli, editoriali, discorsi, epistole, ecc); quaderni e quadretti; più di 500 disegni (Scola nasce disegnatore e vignettista per il giornale satirico il "Marc’Aurelio" nel '46 prima di diventare sceneggiatore e poi regista); 2000 fotografie; molto materiale video e filmati vari (ancora da catalogare); pellicole; pizze; videocassette; oggetti di scena e oggetti personali legati ai film, e tanto altro ancora.
 
 
Durante la presentazione dell’Archivio, Silvia Scola ricorda il cinema del padre proiettando una selezione di interviste al padre e spezzoni che ritraggono in modo peculiare, a tratti caricaturale e deforme, la città di Roma. Si tratta di «Brutti, sporchi e cattivi», racconto impietoso e viscerale del degrado delle baraccopoli nelle periferie della capitale, così segnato da quello che Alberto Moravia definì «nuovo estetismo in accordo coi tempi» concentrato su «particolari fisici laidi e ripugnanti». Nel dialogo, cui partecipa anche Ennio Bispuri, autore di «Ettore Scola. Un’umanista nel cinema italiano»,  si parla di questo film uscito molti anni dopo «Accattone» (1961) di Pasolini, intimamente legato al genocidio culturale, al fascismo dell’epoca consumista di cui parlava l’autore di «Ragazzi di vita». Scola però si muove tra gli emarginati in modo diverso, descrivendo il caos della convivenza forzata dalla miseria di una famiglia molto popolata. Il capofamiglia Giacinto, interpretato con straordinaria misura da Nino Manfredi, inveisce contro tutti dal suo letto con amarezza tenera e sardonica, incapace di vera aggressività o impossibilitato ad esprimerla dalla prigione sociale in cui si dimena con sardonica burberità.
 
Si ricorda il paradosso per cui il film, rispetto al più angelista «Accattone», fu incredibilmente tacciato di razzismo, di borghesismo, mentre Scola voleva solo focalizzarsi sulla  deformità incolpevole di classi costrette  a essere «brutte sporche e cattive» a causa delle leggi imposte dalla società consumistico-borghese, sul caro prezzo dell’emarginazione secondo la sintesi efficace, quanto forse assai deterministica, per cui «anche il borgataro vuole il giaccone, ma  lo paga più caro dei suoi coetanei borghesi perché lo paga anche con la depravazione e la galera». Solo a Cannes capiscono il film dando il premio per la regia ad uno Scola che ha messo in mostra con spiazzante iperrealismo la degradazione della borgate. Con quella passione per l’umanità  che, senza empatia intrusiva,  liberare con enfasi secca la deformazione del suo oggetto, quella per cui chiese di costruirre apposta una baraccopoli a Monte Cioccio presso Torre Guardia per avere una veduta della Cupola di San Pietro, simbolo e destinatario di un atto di denuncia contro l’indifferenza della Chiesa che sarà sempre centrale nella poetica del regista.
 
Pasolini ne amava il copione e sarebbe stato interessante se avesse potuto davvero fare la prefazione al film, senza venire ucciso l’ultima settimana di riprese del film a pochi metri dal set di Scola. Le borgate, centro della trattazione cinematografica pasoliniana, sono trasformate da Scola in qualcosa di macabro attraverso quell’elemento del grottesco così centrale e costante, per Bispuri, nella poetica di Scola, che rende difficile la ricezione di molti suoi capolavori (si pensi al moscone del «Dramma della gelosia» (1970), in «Passione d’amore» capolavoro dimenticato del maestro, anche «Gente di Roma» dove non sappiamo se il personaggio parla davvero con i morti). Grottesco che si intreccia con il timore di qualsiasi retorica. Nel cinema di Scola è in atto uno sfondamento del realismo che fuoriesce da se stesso suggerendo zone che non descrivono, ma suggeriscono la realtà in forme inedite.  Pasolini mostrava invece un angelismo di fondo, visibile in «Accattone» e «Mamma Roma», indirettamente assolutorio di figure avvertite come vittime della società, mentre in «Brutti, sporchi e cattivi» si consumano situazioni e scene abnormi, identificabili a partire dalla gabbia dove vivono i bambini.  

Ma i personaggi sono incolpevoli, talmente turpi nella loro estremizzazione da apparire senza colpa. Si può aggiungere però che il rifiuto della retorica non emargina l’elemento poetico: la chiusura del film con la ragazza che va a prendere l’acqua è come un accenno alla umanità, alla poetica dell’umanità, dell’umanità che soffre, capace di divenire quella poetica elegante e misurata dell’ultimo e del diverso che si dispiegherà pienamente  l'anno dopo in «Una giornata particolare» (1977).  Esprimendo così quella complessità dalle prospettive contrastanti dello sguardo cinematografico di Ettore Scola su cui la costituzione dell’Archivio aiuterà a gettare una luce sempre più profonda.

 
 
 
 
 
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