Come conquistare i cinema cinesi con tre storie e un fiume di Caffè

Come conquistare i cinema cinesi con tre storie e un fiume di Caffè
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Lunedì 10 Ottobre 2016, 15:38 - Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 18:51
Nel 1966 Jean-Luc Godard trovò il cosmo in una tazzina di caffè. Il cucchiaino girava e nel liquido scuro apparivano nubi, stelle, galassie, mentre la voce fuori campo sussurrava parole d'amore e di filosofia. Il film era Due o tre cose che so di lei e quella della tazzina è una delle scene più famose della storia del cinema.

Cinquant'anni dopo l'italiano Cristiano Bortone ha fatto l'inverso. Ha preso il mondo di oggi con tutte le sue emergenze, crisi, inquinamento, migrazioni, globalizzazione, e lo ha messo dentro una tazzina. In un film fatto di tre storie parallele legate da un solo elemento che si intitola appunto Caffè (in sala da giovedì 13).
Dettaglio chiave: girato tra Cina, Belgio e Italia, Caffè è anche la prima coproduzione ufficiale tra Italia e Cina. E secondo il suo autore (e produttore) dovrebbe fare da rompighiaccio nelle relazioni cinematografiche tra il nostro paese e Pechino, sempre più affamata di storie e modelli di racconto, per alimentare un mercato in crescita tumultuosa ma ancora molto diffidente nei confronti di tutto ciò che viene da fuori.
Le cifre parlano chiaro: con un box office da 6,78 miliardi di dollari (più 49% nel 2015), il mercato cinese è destinato a superare quello Usa nel 2017. E se i colossi orientali come il gruppo Wanda stanno già stringendo alleanze con le Majors, che non esitano a modificare trame e cast per compiacere il pubblico cinese, «l'Europa ha ottime carte da giocare, purché cerchi di capire una cultura lontanissima dalle nostre», dice Bortone. Che parla mandarino fin dall'adolescenza e dopo Caffè ha in cantiere altre coproduzioni fra cui un remake di Buongiorno papà, la commedia di Edoardo Leo con Raoul Bova e Marco Giallini (in società con Lucisano). E un fantasy prodotto dai danesi ispirato alle fiabe di Andersen ma diretto da un regista cinese
CENSURA
Bisogna aprirsi, rischiare, pensare ai nostri figli che vedranno un mondo completamente diverso dal nostro», teorizza Bortone, popolarissimo in Cina grazie a un piccolo film su un ragazzo che diventa cieco, Rosso come il cielo, che lì è stato un immenso successo. «La Storia va in quella direzione, inutile opporsi». Ma bisogna trovare i temi e i toni. «L'idea del caffè nasce così. In Cina la cultura del tè ha 5000 anni, ma il caffè è un simbolo di modernità. Le piantagioni dello Yunnan, come quella in cui si svolge il segmento cinese, sono la nuova frontiera per colossi come Starbucks e Nestlè. Offrono ottima qualità e tempi rapidi di raccolta, anche se questo crea problemi di sostenibilità, come si vede nel film».
Con cautela, per superare la censura cinese: il disastro ecologico che nella prima stesura era già accaduto, ora è solo un rischio che il protagonista cinese affronta. «Ma spesso dialogando si trovano le soluzioni migliori: nata per evitare la censura, la modifica paradossalmente ha vivacizzato la storia».
Poi c'è il retroterra storico-mitico del caffè. «Qui devo tutto al mio amico Roberto Ricci», sorride Bortone, «proprietario di uno storico caffè torrefazione romano dietro il Pantheon, un'autorità in materia. Basti ricordare che quando gli americani si staccano dall'Inghilterra, la prima cosa che fanno è buttare a mare le balle di tè per segnare la rottura. O che il primo caffè d'Europa viene aperto a Vienna usando i sacchi di caffè abbandonati dai turchi dopo l'assedio. Una data storica anche in questo senso».
TERRORISMO
Nel film invece il peso della Storia cade sulle spalle dell'arabo immigrato in Belgio che in una notte di saccheggi si vede rubare un'antica caffettiera d'argento. «Altra storia curiosa. Quando abbiamo scritto il film, il Belgio non era ancora la capitale del terrorismo. Ma al momento di girare abbiamo rischiato di non farcela. La polizia non dava il permesso di inscenare manifestazioni, temevano fossero prese per vere, o che ci attaccassero i fondamentalisti».
E quando uscirà Caffè in Cina? «In primavera probabilmente, dopo il loro capodanno». Rigorosamente in originale con sottotitoli mentre i pubblico italiano, come quasi sempre, sentirà italiani, fiamminghi, arabi e cinesi parlare tutti italiano. La Cina è lontana, altro che.
Fabio Ferzetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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