Caterina Murino: «In Italia non sono mai stata di moda, ecco la mia avventura cinese»

Caterina Murino: «In Italia non sono mai stata di moda, ecco la mia avventura cinese»
di Ilaria Ravarino
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Sabato 31 Luglio 2021, 06:41 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 03:48

Più diva di così non si può. Ex Bond Girl di Casino Royale (era Solange, moglie del cattivissimo Dimitrios), dopo un passaggio a Bollywood e la residenza ormai stabile in Francia, la sarda Caterina Murino, nata a Cagliari 43 anni fa, va alla conquista di un altro continente: la Cina. Sarà lei infatti l'unica star occidentale di Urge Marry, la commedia romantica del regista Haoke Wang che si prepara a sbancare il botteghino nazionale il prossimo 14 agosto.

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Un botteghino da record - la Cina ha un box office da due miliardi di dollari l'anno - per un film che uscirà nel giorno del San Valentino cinese, una data paragonabile, in termini di prestigio, al nostro Natale.
Com'è finita in Cina?
«Dopo Casino Royale, che uscì nel 2006, andai in Cina per una serie di festival. Purtroppo mi ruppi una gamba e venni ricoverata all'ospedale di Shanghai. Il caso ha voluto che mi fidanzassi con un medico australiano che lavorava là: per quasi tre anni ho vissuto in Cina e già che c'ero mi sono cercata un agente. Così nel 2012 feci il mio primo film cinese, L'invincibile piccolo maialino volante».
Oddio, cos'era?
«Un film ecologico per bambini, con molti effetti speciali. Cinque anni dopo lo stesso regista mi ha richiamata. Abbiamo girato Urge Marry nel 2017, ma esce solo adesso».
Di cosa si tratta?
«È la storia di una professoressa che cerca di imparare la cucina cinese. Abbiamo girato in una zona bellissima, vivevo in un albergo appartenuto alla dinastia Ming, con le porte in legno decorato».
Andrà in Cina per la promozione?
«No, non posso andare quest'anno. Troppo complicato. Mi hanno chiesto di preparare un video saluto che verrà mostrato durante la conferenza stampa del film».
Ma lei parla cinese?
«No. E il regista non parla inglese. Ci capiamo con lo sguardo. Però sono entrata in qualche modo nelle sue grazie: vuole farmi conoscere tutto della cultura del suo paese, i luoghi e la cucina».
E il fidanzato australiano?
«Ora sono felice con un avvocato francese, viviamo a Parigi con una gattina sarda. In Cina mi è rimasto l'agente».
Differenze tra set cinesi e italiani?
«Intanto quando finisci una scena c'è un'altra troupe che ti aspetta su un secondo set. Non hai tempo nemmeno per sederti. Poi sono superstiziosi: le riprese non possono iniziare né l'8 né il 10 del mese, considerati numeri sfortunati. E il primo giorno di set si fa la cerimonia dell'incenso con la telecamera coperta da un panno. Non si inizia finché non si è consumato tutto il bastoncino. Mi era successo anche a Bollywood».
A Bollywood?
«Il regista di Fever, Rajeev Jhaveri, mi voleva assolutamente e venne a cercarmi a Montecarlo, dove facevo un altro film. Girammo tutto in Svizzera, ma gli indiani si portarono persino i cuochi da casa. In India ho fatto la promozione, dieci città in due settimane. I miei colleghi erano star, di quelle che nei centri commerciali si trovavano davanti 5000 persone a urlare i loro nomi. Per non farmi sentire esclusa l'attrice chiedeva gli applausi anche per me. Quale altra star mondiale lo farebbe per una collega? Siamo ancora amiche».
Come si sente a essere la nostra star internazionale?
«Piano, piano. Monica (Bellucci, ndr) mi straccia».
Del periodo come letterina da Gerry Scotti che ricorda?
«Avevo vent'anni, ricordo che Gerry era molto paterno. Una bella persona nel panorama della tv italiana. Non sorridevo e il pubblico me lo faceva notare. Fui la prima del gruppo ad andarmene».
E di James Bond?
«Non mi rendo conto nemmeno di averlo girato. Continuo ad avere la sindrome del brutto anatroccolo: davvero ho fatto 007? Io sono fatta cosi, mi capitano le cose e le prendo. A fine giugno mi hanno proposto di aprire il festival di Nervi, ho detto impulsivamente di sì e così mi sono ritrovata a fare il Sogno di una notte di mezza estate, completamente sola in scena».
Cina, India, Stati Uniti. E il cinema italiano?
«In Italia non sono mai stata di moda e non lo sarò mai. Sono fuori dal coro, una pallina impazzita. Ci sono attrici che in certi periodi fanno tutto e altre, anche molto giovani, che come respirano gli danno un David di Donatello. Io sono diversa. Mi permetto scelte ardite. Non prendo tutto, ma non ho la puzza sotto il naso».
Farebbe anche fiction?
«Certo. Ma non arrivano proposte in questo senso».
I suoi prossimi progetti?
«Un bellissimo film horror ambientato a Venezia di Alex de la Iglesia, Veneciafrenia, che uscirà a fine novembre in Spagna. Poi tre serie francesi e in Italia il film Netflix Mio fratello, mia sorella e Generazione Neet di Andrea Biglione».
Sta seguendo le notizie sui roghi in Sardegna?
«Certo. Mio padre perse negli incendi non so più quanti alberi di ciliegio. E succedeva venti anni fa. Vorrei che la Regione piazzasse un numero mostruoso di pompieri durante l'estate. E che si usasse il gel per ritardare il fuoco, da buttare nelle zone combustibili, come si fa in Canada».
La politica la tenta?
«In tanti me lo hanno chiesto. Ma ho un rispetto enorme dei politici e non credo che basti amare un luogo per saperlo governare. Ma chissà, forse un giorno mi toccherà farlo».
 

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