Carlo Verdone: «Ho scritto l'inizio di "Un sacco bello" grazie a questa canzone»

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Mercoledì 29 Marzo 2023, 12:48

«Una vita senza musica è una vita grigia», parola di Carlo Verdone. L’attore e regista romano non ha mai celato la sua immensa passione per il rock, una passione diventata la protagonista del talk «Le mie canzoni» al fianco del critico musicale Ernesto Assante andato in scena lo scorso lunedì sul palco del teatro Carcano di Milano nell’ambito della rassegna «Follow the Monday». Dalla folgorazione di Twist and Shout alla canzone che ha ispirato l’inizio di Un sacco bello, Verdone regala al Messaggero un affresco della colonna sonora della sua vita.

Carlo Verdone, qual è il suo primo ricordo legato alla musica?

«Mia madre che mi porta ai concerti di musica classica il pomeriggio e io, bambino, che mi trovo davanti a Debussy, Mozart, Beethoven, Ravel, travolto dalla potenza dell'orchestra.  Nel 1963 però esce Twist and Shout dei Beatles e la mia vita viene terremotata: decido che quella sarà la musica che seguirò, grazie a quel disco divento un collezionista e un esperto».

Come è nata invece la passione per la batteria?

«Con i tamburi di Siena, la città di mio padre. Da bambino ci andavo per sentire le sbandierate delle contrade del palio: le rullate dei tamburi erano qualcosa di marziale, di potente. Poi quando sono arrivati grandi batteristi come Ginger Baker dei Cream o John Bonham dei Led Zeppelin, la batteria è diventata un punto di eventuale arrivo. Sono un autodidatta, un batterista della domenica che fa cose semplici: accompagno bene i blues o mio figlio che suona bene la chitarra».

Nella sua vastissima collezione da oltre 4 mila LP, quali sono i più importanti?

«Sono dischi legati alla mia adolescenza. Revolver Sgt. Pepper dei Beatles, Highway 61 di Bob Dylan e poi ancora The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd: sarò banale, ma è un capolavoro. Metterei anche Led Zeppellin II e IV, i due 33 giri della band che ho amato in maniera particolare».

Band e canzone della vita?

«I Beatles e A day in the Life perché è una canzone perfetta: una parte di McCartney e una parte di Lennon si fondono in maniera sublime. È straordinaria. E poi ce n’è un’altra dei Beatles che è molto d’avanguardia: Tomorrow never knows, forse la prima canzone psichedelica».

Musica e cinema sono profondamente legati: ha mai tratto ispirazione da qualche brano?

«Quando stavo scrivendo  Un sacco bello, non sapevo come far iniziare l’episodio del bullo. Il suggerimento è arrivato da Traintime dei Cream, un pezzo di armonica e batteria, suonata a spazzole in modo ritmato come un treno. Sentendo quel brano, ho immaginato il bullo che usciva dal bagno, in una nuvola di vapore, con un asciugamano che entrava nella stanza e cominciava a prepararsi per il viaggio in Polonia. Stay with me baby dei Walker Brothers mi ha aiutato, invece, a scrivere il finale di Maledetto il giorno che t'ho incontrato. Non sapevo esattamente come chiudere il film, avevo un'idea, ma quella canzone ha fatto sì che il finale fosse poetico»,

Parlando di cinema non si possono dimenticare le colonne sonore di Ennio Morricone.

«Una sorpresa, un regalo di Sergio Leone: chi avrebbe mai pensato che un esordiente al suo primo film avrebbe potuto contare su un compositore come Ennio Morricone? Soltanto l’autorevolezza di Sergio Leone:  devo tutto a lui».

Ha mai pensato di scrivere un film su una band o un cantante?

«Non un film, ma un documentario. Ne farei volentieri uno su Marvin Gaye, un grandissimo cantante che ha vissuto un finale tragico, ucciso dal padre reverendo. La sua è stata una vita strana, curiosa, turbolenta: andò persino a vivere in Belgio, a Ostenda. Ci sono tanti misteri da scoprire su di lui. E poi farei un documentario su Chris Cornell, un grande del grunge».

Da grande esperto di rock, che artisti consiglierebbe ai giovani d'oggi?

«I ragazzi non ascoltano più le chitarre. Consiglierei loro di scoprire o riscoprire Mark Lanegan, un grandissimo cantante e solista, dalla voce cavernosa, autore di canzoni importanti. E di studiare la carriera di Scott Walker, partendo dalla gradevolezza degli inizi fino ad arrivare alla complessità degli ultimi brani, molto sperimentali».

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