Berlino, “The Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson apre il festival

Berlino, “The Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson apre il festival
2 Minuti di Lettura
Mercoledì 4 Marzo 2015, 11:11 - Ultimo aggiornamento: 11:13
dal nostro inviato Fabio Ferzetti Un paese che non esiste, una specie di Mitteleuropa a fumetti sognata dal regista dei Tenenbaum nel suo stile sgargiante e inconfondibile.








Un racconto a scatole cinesi che inizia ai giorni nostri e torna fino agli anni 30, perché anche se il tono è lieve, i colori accesi, le star innumerevoli, questa favola piena di humour e di azione parla di memoria, di trasmissione del sapere, insomma di eredità. Un film dal tono volutamente infantile, ma chiazzato di sesso e di morte, come se solo così il texano Wes Anderson potesse appropriarsi dei lati più oscuri di un’epoca che come i tre quarti del pubblico di oggi conosce solo grazie a libri, film, foto, disegni.



Se la Berlinale cercava un lavoro divertente e pensoso, frivolo e malinconico, in bilico fra due epoche e due mondi, The Grand Budapest Hotel era il titolo ideale per aprire un festival che come il mondo oggi guarda a Oriente, ma non può dimenticare la propria storia. E poi questa favola di Anderson, girata tra gli studios berlinesi di Babelsberg e le architetture gotiche di Gorlïtz, è un trionfo di invenzioni e divertimento che sospende ogni cosa, a partire dall’immaginaria repubblica di Zubrowska, nel regno della fantasia. Ma senza mai dimenticare la realtà: dopo i fasti della Belle Epoque quell’immenso albergo termale sospeso tra i picchi dei Sudeti ha conosciuto le offese della guerra, le ingiurie del nazismo, il grigiore del socialismo reale.



LA MEMORIA

Ma ha anche visto le avventure del tenero Gustave (Ralph Fiennes), maitre d’hotel sempre impeccabile e molto disponibile con le clienti più attempate, dunque nominato erede universale da una contessa devota e decrepita (un’irriconoscibile Tilda Swinton). E perseguitato con tutti i mezzi, alla morte di lei, dai suoi parenti nerovestiti e certamente filofascisti che gli danno una caccia senza quartiere. Cercando soprattutto un prezioso ritratto del Rinascimento, rubato dal maitre e sostituito con un dipinto sporcaccione di Schiele (del quale nessuno conosce il valore...). In un crescendo di avventure, stramberie, invenzioni visive, che incanterà chi ama il regista di Moonrise Kingdom e Fantastic Mr. Fox.



Ed ecco, fra inseguimenti di ogni sorta (auto, treni, moto, sci, slitte, funivie), confraternite internazionali di maitre d’hotel, complotti e delitti sempre compiuti con massima eleganza e velocità, affacciarsi un plotone di divi, in ruoli anche piccolissimi ma tutti da assaporare, come i pasticcini confezionati dalla candida Saoirse Ronan, così belli e inviolabili che servono a introdurre in carcere ferri da evasione. Mentre tutto intorno, truccati e avvolti nei costumi inarrivabili di Milena Canonero, sfilano per il nostro divertimento Willem Dafoe protonazi con ghigno da uomo lupo, Jeff Goldblum avvocato azzimato, Adrien Brody avido erede, Edward Norton sbirro sensibile, Harvey Ketitel galeotto pelato e tatuato. Tutti sospesi allo sguardo innocente di un debuttante assoluto, il giovanissimo lobby boy Tony Revolori, che da vecchio diventerà F. Murray Abraham. Una festa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA