Nakata ambasciatore del Giappone nel mondo: la nuova vita di Mister Hide

Nakata ambasciatore del Giappone nel mondo: la nuova vita di Mister Hide
di Stefania Viti
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Domenica 26 Aprile 2015, 14:46 - Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 10:06

MILANO - È stato inserito nella FIFA 100, la classifica dei migliori calciatori viventi, ma è già pronto per un altro record: diventare la persona che sa tutto, ma proprio tutto, sul proprio Paese, il Giappone.

Lui è Hidetoshi Nakata, simbolo mondiale del calcio con gli occhi a mandorla, atleta che in Italia ha militato con le maglie del Perugia, della Roma, del Parma e della Fiorentina. Abbandonata la carriera di calciatore a soli 29 anni, Nakata ha iniziato a viaggiare per il mondo, alla scoperta di culture e tradizioni molto diverse dalla sua. Ha intrapreso poi un viaggio per tutto il Giappone, per cercare di approfondire la cultura del suo Paese, che oggi promuove organizzando importanti iniziative internazionali con il progetto Revalue Nippon.

Lo abbiamo incontrato a Milano, dove è arrivato per inaugurare il primo Sakenomy italiano, il temporary bar attivo durante il Salone del Mobile e che ha proposto al pubblico la degustazione di una raffinata selezione di saké, la bevanda alcolica giapponese che si ottiene dalla fermentazione del riso. Sakenomy (crasi della parola sake con “nomy” di “gastronomy”) – tornerà a Milano durante il semestre di Expo quando dal 19 al 24 giugno lo Swiss Corner si vestirà completamente di Giappone per un’intera settimana dedicata alla degustazione di 33 tipi di sake diversi.

A guidare il percorso di degustazione ci sarà lo stesso Nakata e alcuni produttori. Per il pubblico è stata sviluppata una applicazione che permette di mappare oltre seimila diverse etichette di sake».

Nakata, lei oggi è impegnato nella promozione della cultura giapponese nel mondo, ma non le manca un po’ il calcio?

«Non mi manca in modo particolare perché il calcio è comunque una parte importante della mia vita ancora oggi. Dopo essermi ritirato ho iniziato a viaggiare molto: se c’è il “football” è facile riuscire a comunicare e a farsi nuovi amici. Mi sono reso conto che il calcio è un mezzo importante attraverso il quale è possibile cercare di risolvere molti problemi e la mia Fondazione (Take Action Foundation, ndr.) ha questo obiettivo. Il 4 maggio tornerò a Milano per la partita di beneficenza “Zanetti & Friends”. Alla fine è solo la forma che è cambiata, ma percepisco chiaramente ancora oggi la forza del calcio».

Come ha sviluppato l’idea del progetto Revalue Nippon?

«Dire che sia stato il mio obiettivo sin dall’inizio è esagerato. Ho iniziato a viaggiare principalmente perché volevo conoscere meglio il mio Paese. Il Giappone è formato da 47 Prefetture e viaggiando dal sud al nord ho incontrato gente di ogni genere. Quando sono partito avevo deciso di dormire in un albergo diverso ogni notte e di mangiare, tutto il resto è stato affidato al caso, ho viaggiato in totale libertà. In questo momento sto viaggiano nell’ultima prefettura, quella dell’Hokkaido».

Come è nata la sua passione per il sake?

«Quando i produttori fanno il sake impiegano alcuni mesi, non escono mai dalla cantina e praticamente non dormono. Si tratta di un processo molto delicato in cui persino la variazione dell’acqua di 0,1 gradi può fare la differenza. Il produttore studia il riso, l’acqua, il koji (la muffa che serve per far fermentare il riso) ma il sake giapponese è soprattutto il risultato di un grande legame tra le persone e il fatto che sia una bevanda che nasce dalla maestria delle mani dell’uomo è il suo grande fascino».

Come presenterebbe il sake a chi non lo conosce?

«Come il vino, è un prodotto derivato dalla fermentazione. Credo che la grande differenza stia nel grado di acidità. Nel vino è di 4-5 gradi, nel sake di 1-2 gradi. Il vino viene bevuto durante i pasti ma credo che una delle affascinanti caratteristiche del sake sia quella di riuscire ad esaltare il sapore del cibo e di mescolarsi bene a pietanze diverse nello stesso pasto. Abbiamo tenuto un seminario e fatto assaggiare il sake a molti professionisti della ristorazione: si sono stupiti di come fosse facile abbinare il sake alla cucina italiana».

Quale abbinamento consiglierebbe tra un piatto italiano e un sake giapponese?

«Ve ne sono di moltissimi tipi e l’abbinamento giusto cambia a seconda del piatto».

Sta dunque pensando di produrre un suo sake?

«In verità lo sto già facendo in collaborazione con un produttore giapponese, per ora non si trova in Giappone, ma viene commercializzato soltanto all’estero».

Quando ha smesso di giocare ha viaggiato molto, cosa ha imparato?

«Mi sono reso conto che mi mancava l’esperienza per rispondere a domande del tipo cosa faccio adesso, cosa sono in grado di fare. Ho viaggiato dappertutto, dai paesi ricchi a quelli poveri, ma a volte mi sono trovato in difficoltà a rispondere a domande sul mio Paese. È per questo che ho deciso di diventare la persona che ne sa di più sul Giappone e che riesce a trasmettere questa conoscenza. La passione per il sake nasce da qui, ma poi ci sono i mestieri artigianali e le arti tradizionali, l’agricoltura, la pesca, le feste locali, la religione».

Quali sono le sue attuali passioni?

«La tradizione artigianale giapponese è davvero stupefacente, ma gli artigiani non sanno promuoversi. Io adesso sto lavorando per far conoscere al mondo le loro meravigliose competenze».

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