"Abbiamo ascoltato le vostre lamentele: il sito è bloccato negli aeroporti e nelle aziende, il capo passa dietro le mie spalle e vede Miley Cyrus che cavalca un vibratore, il parroco si è fatto beccare in confessionale con le foto di Justin Bieber senza mutande", si legge su Dagospia, "Vogliamo che il sito arrivi a più persone possibile, e che possa raccogliere la pubblicità senza problemi. Alcuni inserzionisti si fanno dei problemi a mettere il loro marchio accanto a una gang-bang interraziale (poveri loro, non sanno che si perdono)".
Insomma, lo stile satirico non cambia ma le motivazioni sono chiare: per tirare avanti serve la pubblicità, e agli inserzionisti non piace avere il proprio marchio accanto a immagini troppo spinte, anche se poi sono quelle stesse immagini a macinare clic. Dagospia è un sito che ha sempre vantato la propria indipendenza dai poteri forti, ma davanti al potere della pubblicità non può far altro che arrendersi. La legge del politically correct è uguale per tutti, anche per chi ha fatto del suo maggiore punto di forza proprio l'opposizione a quelle regole.
Senza considerare un'altra, spietata legge: quella dei giganti del Web. Questi ultimi spesso non fanno distinzioni, e perché un sito venga bloccato basta qualche foto che un algoritmo non reputi appropriata. Neanche a dirlo, è proprio quello che è successo, in molte occasioni, a Dagospia: la navigazione sul sito di D'Agostino viene spesso inibita, soprattutto nelle rete aziendali e all'estero.
Anche il Cafonal, così, è stato costretto a diventare presentabile. "Dagospia cambia la faccia, ma non l'anima", scrive il sito. Anche se dell'anima, in alcuni casi, la faccia è lo specchio più fedele.
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