Coronavirus, ipotesi pandemia: ecco come i nostri stili di vita cambierebbero. «Social e tecnologia nostri alleati»

Coronavirus, come reagiremo alla pandemia? Il sociologo: «Senso di isolamento e depressione, la tecnologia ci aiuterà»
di Lorena Loiacono
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Venerdì 6 Marzo 2020, 15:46 - Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 18:56

La pandemia da coronavirus è una possibilità sempre più concreta, per l'Oms serve ora un approccio mondiale: «La situazione può evolvere in pandemia - ha dichiarato il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus - e alcuni dicono che siamo quasi vicini a questo. Può essere vero, la situazione può peggiorare e diventare una pandemia. Ci sono Paesi però che hanno mostrato che questo virus può essere contenuto, quindi non dobbiamo arrenderci e adottare un approccio globale».

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Molto dipende quindi da come si comporterà la popolazione. Andrea Cerase, professore aggregato dell'Università la Sapienza e ricercatore in Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi, docente di comunicazione del Rischio e dell’Emergenza:
Siamo tutti a rischio pandemia, come reagirà la popolazione?
«Le reazioni sociali sono sempre molto imprevedibili, in questo contesto non è realistico aspettarci reazioni omogenee».

Con le scuole e le università chiuse qualcosa sta già cambiando.
«Sì, stiamo lavorando e studiando da casa, ad esempio usando piattaforme di teledidattica e smartworking per ladidattica e l’organizzazione delle attività di ricerca. Ma le piattaforme possono aiutarci anche a garantire la continuità nelle nostre abitudini».

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Ci si riesce?
«I bambini possono utilizzare queste piattaforme per giocare, ma anche per tenersi in contatto con i compagni o per studiare, utilizzando ad esempio le indicazioni che possono arrivare tramite whatsapp».

Dobbiamo rivalutare i social?
«Le tecnologie possono avere un ruolo negativo contribuendo all’amplificazione del rischio, ad esempio favorendo la diffusione di bufale o di messaggi volti a creare paura e indignazione, ma allo stesso tempo rappresentano anche un valido supporto per ridurre l'esposizione delle persone esposte al rischio di contagio, consentendoci di lavorare senza doverci esporre a potenziali fonti di contagio. La situazione è difficile ma è possibile reagire modificando alcuni comportamenti e mantenendo sempre un senso di normalità».

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Anche fare la spesa diventa un rischio?
«Basta andarci in un orario meno affollato. Per ridurre i rischi spesso sono sufficienti pochi accorgimenti, e del resto ci dobbiamo adattare a questa nuova situazione».

Quanto si perde in termini di collettività?
«Le ricerche ci dicono che, di fronte ad un'emergenza, uno dei problemi più seri che si possono verificare è la distruzione della comunità e delle reti di relazioni che legano tra loro le persone, assicurando sostegno concreto e senso di sicurezza. La rottura di questi legami porta ad aumento del malessere individuale (psicologico) e di quello sociale, influendo negativamente sulla percezione della qualità della vita alimentando il senso di isolamento, e la depressione».

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Che cosa spaventa di più?

«Tra gli aspetti di maggiore sofferenza delle persone colpite dal terremoto, ad esempio, ci sono l'idea di doversi spostare dai luoghi d’origine e la mancanza di contatto con le persone familiari: anche in questo caso stiamo vivendo una situazione sociale nuova e, in quanto nuova, spaventa».

Come si supera questa paura dell'isolamento?
«Anzitutto è fondamentale presidiare questa rete di relazioni sociali, che è fondamentale per l’accesso a importanti risorse materiali e simboliche, dal cibo alle informazioni. Le tecnologie in questo senso possono essere “addomesticate” per prenderci cura delle relazioni sociali e delle comunità di cui facciamo parte: tutto questo implica uno sforzo cognitivo ed emotivo da parte delle persone».

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Per le persone anziane, che sono anche quelle maggiormente a rischio, non è semplice.
«No, per gli anziani è necessario trovare dei sistemi per evitare che restino isolati. Secondo l’Istat in Italia ci sono 5.500.000 di persone che si impegnano nel  volontariato: il contributo del terzo settore è fondamentale e mi preoccupa che queste persone, validissime, si possano fermare per colpa del coronavirus. Le reti di solidarietà rappresentano la prima risorsa nelle situazioni di emergenza».

Le persone come reagiscono davanti alle emergenze?
«E' difficile da prevedere ma di certo l'emergenza ci costringe a vedere come siamo veramente. Il comportamento degli individui rivela lo stato di salute delle comunità e della società: ci sono quelli che agiscono in modo solidaristico, quelli che si conformano alla cultura e alle regole del comportamento sociale, ma ci sono anche quelli che agiscono in modo opportunistico o insensato. É quella che i sociologi chiamano anomia: l’assenza di norme condivise, che si accompagna a una generalizzata mancanza di responsabilità nei confronti degli altri».

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Cioè?
«Gli eccessi di individualismo: alcuni pensano che la propria salvezza dipenda solo da se stessi e non dal sistema di relazioni che abbiamo con gli altri. E spesso antepongono il proprio interesse alla sicurezza e alla protezione degli altri».

Da cosa dipende invece la salvezza, durante una pandemia?
«Più ci si aiuta e prima se ne esce fuori».

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I cittadini dovrebbero capirlo

«Quello che si può fare è comunicare meglio, utilizzando i risultati consolidati delle ricerche sulla percezione e sulla comprensione dei rischi per migliorare le strategie di comunicazione delle Istituzioni e delle autorità pubbliche».

La comunicazione del rischio?
«Sì, le amministrazioni pubbliche Italiane dovrebbero dotarsi più capillarmente di linee guida per la comunicazione del rischio che possano guidare l’azione di dirigenti e operatori, utilizzando concetti e linguaggi comprensibili a tutti ed evitando di compromettere la credibilità delle Istituzioni. Se la comunicazione è fatta male il senso di incertezza aumenta e alcune persone pensano, sbagliando, di risolvere l’incertezza comportandosi in modo poco responsabile: stiamo assistendo a diversi episodi abbastanza preoccupanti».

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Ad esempio?
«I casi di cronaca degli ultimi giorni evidenziano che alcune persone privilegiano l'interesse personale immediato rispetto alla collettività. Qualche esempio? Alle Molinette sono state necessarie delle chiusure perché due pazienti di 72 anni hanno omesso di dichiarare che erano stati a contatto con il figlio, che veniva da una zona sottoposta a contenimento. Al Sant'orsola di Bologna un paziente di urologia ha omesso di dire di essere stato in una delle zone rosse. Di comportamenti di questo tipo ce ne sono stati parecchi».

Che cosa indicano?
«Sono, a mio avviso, comportamenti che rientrano nella anomia.E questo può danneggiare tutti perché, in ogni situazione di rischio, il senso di comunità e di solidarietà consente di disporre di risorse per superare l'emergenza. Possiamo dire che le misure di contenimento del virus hanno fallito, almeno in parte, anche a causa della mancanza di senso del dovere nei confronti della comunità».

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Se l'Oms dovesse dichiarare la pandemia?

«L'annuncio ha a che fare con la comunicazione del rischio, non cambia niente rispetto alla diffusione epidemiologica: si tratta solo di ufficializzare un problema che esiste già. Il fatto che non ci sia l'attesa riduzione dei contagi è la prova che la pandemia c'è. Il messaggio della pandemia è quindi necessario per far sì che tutti comprendano il pericolo, a patto che questo messaggio sia accompagnato da comunicazioni chiare sui comportamenti da tenere. Dobbiamo essere preparati nel sapere cosa fare nei comportamenti quotidiani».

Che cosa cambierà?
«Dovremo seguire le indicazioni su come muoverci in sicurezza: come fare la spesa, prendere l'autobus o andare a trovare una persona malata».

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Le indicazioni ci sono?
«Le amministrazioni devono comunicare indicazioni pratiche sui comportamenti da tenere nella quotidiana, chiare e uguali per tutti, con un linguaggio più semplice possibile visto che tutti hanno lo stesso diritto all'informazione: dall'adulto laureato che dispone di tutti i messaggi, dei canali e delle competenze per interpretarli fino alla signora 80enne che ha la licenza elementare, e vive in un paesino.
Servono anche aggiornamenti continui e soprattutto sapere che la scienza, ora, non è in grado di dare tutte le risposte: il virus cambia e la conoscenza scientifica è costretta a rincorrere, Al momento non sappiamo esattamente come si diffonde, quanto sia contagioso, quanto sia lunga l’incubazione. E tuttavia, anche se le nostre conoscenze sono limitate e caratterizzate da una forte incertezza – come avviene per tutti i rischi – bisogna prendere decisioni rapide, cercando di valutare e agire con responsabilità, e queste decisioni non riguardano solo le autorità pubbliche ma anche i singoli cittadini. Quindi dobbiamo poterci fidare delle indicazioni che ci arrivano ma queste devono essere chiare e devono essere rispettate».

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