Università, rette scontate per chi torna al Sud: la mossa per riprendersi i fuorisede

Università, rette scontate per chi torna al Sud: la mossa per riprendersi i fuorisede
di Lorena Loiacono
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Domenica 12 Luglio 2020, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 15:23

ROMA Tornare a casa non costa nulla. E’ questo il richiamo degli atenei del Sud che, rivolgendosi agli studenti meridionali che hanno scelto di studiare al Nord, gli azzerano le tasse universitarie. L’obiettivo, in tempi di crisi, è evitare la dispersione degli studenti e allo stesso tempo ripopolare quelle zone d’Italia che, come il Sud, da troppi anni vedono andare via i giovani. Senza ritorno, visto che poi anche il lavoro è fuori sede. 
Dal meridione infatti parte un ragazzo su tre per laurearsi altrove e allora, per chi torna, quest’anno le tasse vengono azzerate. In prima linea c’è la Regione Puglia dove per l’anno accademico 2020-2021 ci si iscrive a costo zero se nell’anno precedente ci si era immatricolati altrove. Insomma, per chi torna le porte sono aperte, spalancate. In Sicilia il procedimento è simile: è previsto infatti un incentivo di 1.200 euro per ogni studente fuorisede che decide di rientrare a studiare negli atenei delle università siciliane. Vale ovviamente per chi frequenta un’università del Nord ma anche per chi è iscritto in un ateneo estero. Si tratta di un contributo messo a disposizione dalla Regione Sicilia, nell’ambito dei 290milioni stanziati dal Decreto Rilancio per il diritto allo studio. Sulla stessa linea anche l’Università della Basilicata che ha già promosso il 50% di sconto a chi si iscrive per il 2020-2021. L’appello a rientrare potrebbe risultare decisamente appetibile. Innanzitutto perché non si pagano le tasse e poi perché ci si risparmia i costi di una vita “fuori sede” che, tra affitto e spostamenti, grava sulle famiglie. Un peso che ora, con l’emergenza da Covid, potrebbe farsi sentire più che mai. E il problema riguarda soprattutto il Sud. 

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Nella guida all’orientamento 2019-2020 di Talents Venture, con i dati relativi all’anno accademico 2017-2018, risulta che il 27,4% degli universitari iscritti frequenta un corso di laurea in una regione diversa da quella di residenza. E il fenomeno è in salita: nel 2013/2014 la percentuale era al 24,5% e il tasso di crescita medio annuo è stato del 2,7%. Ma la fetta maggiore dei fuori sede parte dal Meridione: solamente il 20% degli studenti del Centro Italia ed il 22% nel Nord parte per studiare fuori regione, la percentuale supera invece il 32% tra i ragazzi provenienti dal Sud e dalle Isole. L’unica regione del Sud che riesce a trattenere i suoi ragazzi è la Campania che ha un tasso di abbandono fermo al 17%, riesce a mantenere questo primato probabilmente grazie alla presenza di 7 atenei. 
«Quando si mettono in campo scelte mirate al diritto allo studio - spiega il professore Antonio Felice Uricchio, presidente dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca - il risultato si vede. Da ex rettore dell’università di Bari posso dire che, allargando l’esenzione dalle tasse per i redditi Isee da 15mila fino a 18mila euro siamo riusciti a far crescere il numero degli iscritti. Ora in tutta Italia, per far fronte alla crisi dovuta al Covid, la no tax area raggiunge i redditi fino a 20mila. 

IMMATRICOLAZIONI
L’obiettivo è aumentare le immatricolazioni, perché la ripresa del Paese parte dalla formazione. Se poi pensiamo alle realtà locali dobbiamo porci anche il problema dello spopolamento: i ragazzi scelgono l’università anche in base ai livelli occupazionali del territorio in cui si trova. Per questo si va a studiare al Nord». E i dati raccontano proprio questo: gli studenti magistrali, quelli che continuano a studiare dopo la laurea di primo livello, sono quelli che si spostano maggiormente fino al 36%, cambiando anche regione, proprio con l’obiettivo di restare lì per lavorare. 
«Aumentare il numero degli iscritti - spiega il presidente Uricchio - fa da volano all’economia del territorio: più studenti ci sono e maggiori sono i fondi che riceve l’ateneo, in base al costo standard per studente previsto dal Fondo di finanziamento ordinario.

In questo modo il singolo ateneo può riuscire ad attivare corsi, laboratori, ricerche e contatti con l’esterno. L’università può essere in grado di far crescere il territorio, dobbiamo puntare su questo aspetto». Interventi mirati, in piena emergenza, visto che per l’anno accademico 2020-2021 lo Svimez teme una diminuzione di 9500 matricole: due su tre sono al Sud. 

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