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INTESA SANPAOLO

Università italiane, il 40% è tra le prime mille nel mondo ma nessuna è nella top 100

Le università italiane resilienti al Covid
Articolo riservato agli abbonati
24 Febbraio 2021 di Roberta Amoruso (Lettura 6 minuti)
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L’Italia è solo 27esima per spesa pubblica in istruzione terziaria, secondo i dati Ocse. Peggio del nostro Paese soltanto Aruba, Ungheria, Lettonia, Israele e Repubblica Ceca. Eppure nonostante l’emergenza provocata dalla pandemia, il sistema universitario italiano si è mostrato «flessibile e resiliente», in grado di «reagire e di incrementare le immatricolazioni». E si difende bene anche nelle classifiche internazionali. Certo, il nostro Paese continua a non centrare la prima parte della classifica, quella delle top 100, sottolinea la ricerca «L’Italia e la sua reputazione: l’università», realizzata da italiadecide (condotta dal Comitato scientifico guidato dal professor Domenico Asprone con i professori Pietro Maffettone, Massimo Rubechi e Vincenzo Alfano) in collaborazione con Intesa Sanpaolo e presentata con il supporto della Luiss Guido Carli. Ma gli atenei si confermano a «qualità diffusa sul territorio», e con oltre il 40% nei primi mille a livello globale. Meglio di Francia, Cina e Stati Uniti che ne posizionano meno del 10%.

I RIMEDI

«Dai ranking analizzati emerge in modo chiaro», ha commentato la vice presidente della Luiss, Paola Severino, «la qualità delle nostre Università diffuse sul territorio, orientate ad assicurare ai giovani pari opportunità di partenza. Il nostro Paese, se analizzato nel suo complesso, emerge come un esempio virtuoso perché caratterizzato da una alta qualità media del sistema universitario. Il grande pregio di questa ricerca è di aver messo in rilievo non i numeri ma la comparazione tra sistemi, rilevando l’importanza di mediare tra base culturale larga e specializzazione, anche multidisciplinare, per l’avvio ai percorsi professionali».

La formazione «è la chiave per il futuro - ha osservato Severino - soprattutto in un periodo di cambiamenti necessitati dalla crisi pandemica e per questa ragione bisogna puntare ad un continuo miglioramento del sistema universitario, coltivando anche il confronto con la Pubblica Amministrazione e con il mondo delle imprese, per la creazione delle nuove figure professionali richieste». «Occorre infine curare anche una migliore comunicazione visto che, ad unanime giudizio degli esperti intervistati - ha concluso - la percezione della qualità dei nostri Atenei è inferiore alla realtà». «Quasi la metà degli atenei nazionali è entro i migliori mille del mondo e quindi sta dentro al 5% migliore delle università mondiali, ha spiegato da parte sua il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, commentando i numeri. Ma c’è ancora molto da fare per scalare le prime 100 posizioni. Per migliorare il ranking dei nostri atenei è quindi necessario «incrementare gli investimenti, intervenire su politiche di reclutamento del personale accademico, migliorare la macchina amministrativa, aumentare le collaborazioni con imprese e tra atenei per internazionalizzazione e attrazione studenti stranieri, agire e comunicare meglio a livello sistemico». Entro il 2024 «Intesa Sanpaolo assumerà 3.500 giovani ed è quindi necessaria la disponibilità di competenze utili alle necessità di quella che sarà la banca dei prossimi anni, con un’attenzione anche agli equilibri di genere - ha concluso Gros-Pietro -. Avere giovani preparati e un sistema formativo più internazionale e vicino al mondo del lavoro è fondamentale per la competitività di un Paese e delle sue imprese. Il sostegno a 70 atenei italiani e alcuni stranieri, tra cui Oxford, con progetti di collaborazione puntuali, è dettato dall’attenzione del gruppo alla produzione e diffusione della conoscenza per una equa distribuzione della ricchezza».

DATI IN CHIARO-SCURO

Prendendo come riferimento i ranking QS e THE, tra i principali per prestigio e per risonanza, la ricerca è stata aggiornata a fine 2020 con tutti i dati relativi alle classifiche internazionali e integrata con un’analisi dell’impatto della pandemia sul sistema accademico e la capacità di reazione del sistema italiano nel confronto internazionale. Ebbene, analizzando con un approccio sistemico il numero di università presenti nelle prime 100, 200, 500 e 1000 posizioni a livello globale - si tratta di percentuali molto alte, considerando che una stima affidabile individuerebbe in oltre 20.000 gli atenei nel mondo - l’Italia continua a non avere università tra le prime 100 in entrambi i ranking, ma anche nel 2020 posiziona nelle prime 500 e ancor di più nelle prime 1.000 un numero di università confrontabile almeno con Francia, Germania e Cina. A ben vedere, poi, normalizzando i dati dei ranking sul totale di università presenti in ogni Paese, l’Italia supera tutti, incluso il Regno Unito, per numero di istituzioni universitarie tra le prime 1000, ovvero nel migliore 5% dell’intero sistema universitario mondiale. Il sistema italiano nel suo complesso vede infatti, nel caso di THE, addirittura oltre il 40% delle proprie istituzioni tra le top 1000, dove invece Francia, Cina e Stati Uniti posizionano meno del 10% dei loro atenei. Come già nell’edizione precedente, la ricerca ribadisce come i parametri utilizzati dai principali ranking internazionali soffrano di problemi metodologici che penalizzano la realtà italiana perché valutano le singole università e non il sistema universitario nel suo complesso. Risultato tanto più rilevante date le condizioni a contorno dello scenario internazionale, a partire dalla forte crescita della domanda di istruzione terziaria da parte dei paesi dell’Africa, del Vicino Medio Oriente e del Far East. Questa domanda aggiuntiva, che può rappresentare una spinta all’internazionalizzazione delle università italiane, impone di prestare attenzione proprio alle classifiche dei principali ranking che sono sempre più utilizzate dagli studenti internazionali per orientarsi nelle scelte formative.

LA COMPETITIVITÀ TRA RISORSE E RECLUTAMENTO

I dati ribadiscono, poi, una situazione di scarsa competitività a causa di risorse economiche nettamente inferiori agli altri principali Paesi di riferimento. Pur avendo un tasso di istruzione terziaria più basso degli altri, dato di per sé negativo, si riscontrano meno addetti alla formazione, con numeri ben lontani dai principali Paesi di riferimento culturale nello scenario internazionale. L’Italia, inoltre, destina alla ricerca una quota di risorse, rispetto alla spesa pubblica, decisamente inferiore rispetto alle principali controparte europee. Questo non permette di migliorare le modalità di reclutamento dei professori e il ricambio generazionale. Non solo. La scarsità di risorse porta spesso a politiche della ricerca poco meritocratiche e più concentrate sulla distribuzione a pioggia di finanziamenti pubblici che a stento riescono a garantire l’ordinario svolgersi delle attività.

LA RICETTA

La ricerca riporta infine alcune indicazioni per rafforzare la qualità delle università italiane e la loro percezione all’estero, come: politiche di reclutamento di docenti e studenti competitive, maggiore efficienza della macchina amministrativa per liberare risorse da destinare alla ricerca e alla didattica, implementazione della didattica a distanza nell’offerta formativa per rendere l’istruzione più inclusiva, internazionalizzazione, collaborazione con imprese private, anche al fine di far incontrare domanda e offerta di lavoro, e reti tra atenei. Occorre inoltre saper comunicare in modo migliore, più organico e strutturato, i punti di forza del sistema universitario italiano, offrendo una lettura positiva del sistema di alta formazione italiano, sia per trattenere i nostri studenti sia per renderlo più competitivo verso gli studenti (e i docenti) stranieri.

LA RESILIENZA

La stessa Ricerca si focalizza, infine, su come il sistema universitario italiano abbia affrontato la pandemia e quali effetti siano stati prodotti con le policy messe in campo dal Governo e il Ministero per l’Università e la Ricerca, come: la no tax area, gli investimenti per assunzioni e borse di studio, misure efficaci per la tenuta del sistema. L’Università italiana ha sostanzialmente continuato nel 2020 a erogare lo stesso numero di ore di lezione, tenere gli stessi esami e produrre lo stesso numero di laureati del 2019. Pur tra tante difficoltà, il sistema ha dato prova di resilienza, flessibilità e spirito di sacrificio, adattandosi alla nuova realtà, per continuare a far girare la macchina. Si registra, addirittura un incremento di oltre il 9% delle immatricolazioni per il totale degli studenti nelle università pubbliche e del 7.1 % negli atenei privati (dal 15 novembre 2019 al 15 novembre 2020), a differenza di quanto accaduto nel 2009 quando la crisi economica fu pagata pesantemente anche in termini di mancate iscrizioni. Il Sud registra l’incremento maggiore, superiore al 6% (+8.000 immatricolazioni). Segue il Nord con oltre 10.000 unità, numero maggiore in valori assoluti ma con una variazione percentuale del 5,5% e infine il centro con un incremento di 5000 immatricolazioni, quasi il 4% (dati al 15 novembre 2020 comparati con il 2019). I sistemi internazionali a carattere privato si sono invece mostrati, nel complesso, meno resilienti rispetto a un sistema pubblico come quello italiano, sempre a patto che questo sia oggetto di maggiori investimenti, e non tagli, al sopraggiungere di una eventuale crisi.

Ultimo aggiornamento: 14:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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