Scuola, certificati con i tamponi: gli esperti non decidono. «Così il sistema collassa»

Scuola, certificati con i tamponi: gli esperti non decidono. «Così il sistema collassa»
di Mauro Evangelisti
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Mercoledì 16 Settembre 2020, 00:47 - Ultimo aggiornamento: 15:41

Durante l’anno scolastico avviene di frequente che un bambino o un adolescente abbiano un po’ di febbre, la tosse o il raffreddore. In epoca Covid, però, questi contrattempi rischiano di fare saltare il sistema dei tamponi. Se per consentire ai figli di essere riammessi in classe, ogni volta, le famiglie devono rivolgersi alla Asl ed eseguire il test, saranno inevitabili lunghe attese, responsi che arrivano dopo sette-otto giorni, laboratori pubblici sotto pressione. In linea teorica, i pediatri di libera scelta o i medici di famiglia, possono in alternativa semplicemente firmare un certificato che dice che il bambino può tornare a scuola perché è guarito e non è positivo al coronavirus.

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I NODI
In sintesi: non è necessario ricorrere ogni volta al tampone molecolare, è sufficiente il certificato medico. Ma Pierluigi Bartoletti, vicepresidente nazionale di Fimmg (Federazione dei medici di medicina generale) ribatte: «Non siamo il mago Silvan. Come si può certificare che un bambino che ha avuto la febbre e i sintomi similari a quelli del coronavirus non è positivo senza eseguire il tampone?». Il problema presto arriverà sul tavolo del Comitato tecnico scientifico, che però in queste ore sta affrontando un altro punto debole del sistema: dal punto di vista normativo c’è una falla, perché se uno studente si assenta per una settimana non c’è l’obbligo di portare il certificato medico.

Ieri il Cts ha anche detto no alla riduzione del periodo di quarantena: oggi è di 14 giorni come indicato dall’Oms, in Francia è stato abbassato a 7. Il Comitato tecnico scientifico ha deciso di prendere tempo, per valutare le altre esperienze internazionali, ma anche i contraccolpi della riapertura delle scuole. E qui si torna al nodo dei protocolli da seguire quando un bambino ha la febbre e la tosse.

La situazione è complicata e rischia di mandare in tilt il sistema dei tamponi, con le Asl che devono, però, garantire la copertura dello screening anche sui casi sospetti che riguardano altri settori, devono limitare i focolai, tracciare i contatti di un infetto, non possono essere monopolizzati dagli studenti. In sintesi: i laboratori non ce la faranno a fare i tamponi a tutti i bambini che si ammaleranno; dall’altra parte, le famiglie rischiano di andare in crisi perché succederà questo: il figlio ha la febbre e resta a casa; dopo due giorni la febbre non c’è più, ma non può tornare a scuola senza l’attestazione del medico di famiglia che dice che è guarito e Sars-CoV-2 non c’entra; il medico di famiglia, anche prima della guarigione, per non sbagliare chiederà sempre il tampone; passeranno vari giorni, in attesa del responso e i genitori, che magari lavorano, per settimane non sapranno dove lasciare il figlio.

Al Ministero della Salute stanno monitorando la situazione, la regolamentazione dell’attestazione dopo una lunga assenza è comunque compresa nel Dpcm con allegate le linee guida dell’Istituto superiore di sanità. Inoltre, si ritiene che i medici di famiglia e i pediatri non debbano per forza, in automatico, ricorrere sempre al tampone: certo, se ci sono sintomi come la febbre alta e la tosse è necessario, ma di fronte a un semplice raffreddore il medico può firmare l’attestazione senza ingolfare i laboratori.

Bartoletti, vicesegretario nazionale dei medici di medicina generale, però è preoccupato: «Noi da tempo stiamo dicendo che la riapertura delle scuole manderà in tilt il sistema dei tamponi. Si fa presto a dire che il medico deve firmare l’attestato di negatività al buio, senza il tampone. Ma di fronte a sintomi compatibili con il coronavirus sarebbe impossibile. Secondo noi esiste una soluzione praticabile, consentire ai medici di base di eseguire i tamponi negli studi». Significa obbligare i medici di base a farlo? «Si tratta di ampliare la possibilità di fare i tamponi, magari ricorrendo a quelli rapidi antigenici che danno un responso in tempi veloci e sono facilmente eseguibili. Ovviamente, dovrebbe essere su base volontaria: agli studi medici disponibili, lasciamo eseguire i test, per non mandare in tilt i laboratori pubblici. In alternativa, si può anche aprire ai privati».
 

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