Liceo occupato, per la Procura di Roma non è reato: «Gli studenti cogestiscono»

Liceo occupato, per la Procura di Roma non è reato: «Gli studenti cogestiscono»
di Michela Allegri
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Mercoledì 27 Gennaio 2021, 22:26 - Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 14:19

Una decisione in controtendenza rispetto ad alcuni precedenti della Cassazione, che stabilivano che le occupazioni studentesche integrassero il reato di interruzione di pubblico servizio. Per la Procura di Roma non è così: gli studenti, prendendo possesso degli edifici scolastici e gestendosi in autonomia senza chiedere il permesso, o protestando, starebbero semplicemente esercitando un diritto: quello di «riunione e manifestazione» garantito dalla Costituzione. Non è tutto: «Gli studenti devono essere considerati soggetti attivi della comunità scolastica e partecipi alla sua gestione». Sono alcuni dei passaggi con cui la Procura della Capitale ha chiesto in massa l’archiviazione di tante inchieste - quasi tutte - che riguardano edifici scolastici occupati nella città. Che si tratti di proteste di poche ore o di più di una settimana il risultato non cambia quasi mai: al gip viene inoltrata una richiesta di archiviazione che molto difficilmente viene respinta.

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Il liceo Kant

Potrebbe succedere la stessa cosa anche con gli studenti che in questi giorni stanno protestando al liceo Kant, a Torpignattara, occupato dal 23 gennaio.

Chiedono la fine della didattica a distanza, ma anche maggiore sicurezza nel rientro a scuola, più autobus per raggiungere l’istituto in modo da non creare assembramenti, e intanto le lezioni sono in stand-by. La procura di Roma aprirà anche in questo caso un’inchiesta che, probabilmente, se verrà seguita la linea adottata finora, non lascerà strascichi e finirà in un’archiviazione. Perché è vero che occupare non è legale, ma se viene fatto in modo «sobrio», sostengono gli inquirenti, è possibile chiudere un occhio. E gli studenti che vorrebbero invece partecipare alle lezioni in modo regolare?

La sentenza

La Cassazione si è espressa sostenendo che anche poche ore di occupazione, nelle quali viene impedita la regolarità delle lezioni, ledono il diritto all’apprendimento e rappresentano quindi un’interruzione di pubblico servizio a tutti gli effetti. La sentenza più famosa è del 2016: gli ermellini avevano dato torto a uno studente delle superiori che aveva fomentato i coetanei nell’invasione dell’edificio scolastico e aveva impedito a studenti e insegnati, contrari all’occupazione, di partecipare ai corsi. Lui si era appellato al diritto allo sciopero, ma i giudici avevano decretato che l’esercizio di questo diritto fondamentale viene meno quando potrebbe ledere ulteriori interessi costituzionalmente garantiti, come quello di altri alunni di dissentire dalla protesta. Non la pensa così la Procura della Capitale, che nel chiedere l’archiviazione di decine di inchieste ha sostenuto che «l’esercizio dei diritti di riunione e manifestazione del pensiero garantiti dalla Costituzione cessa di essere legittimo solo quando travalichi nella lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, con modalità di condotta che esorbitino dal fisiologico esercizio dei diritti». Cosa che, secondo i pm capitolini, nei casi di proteste «sobrie» non succederebbe. Il motivo? Perché il diritto allo studio sarebbe comunque garantito, con l’organizzazione di lezioni autogestite, didattica alternativa e attività culturali. Per la Procura non sarebbe quindi configurabile il reato di interruzione di pubblico servizio, «non essendo stati materialmente leso l’interesse tutelato dalla norma». Sarebbe invece configurabile un altro reato, quello di violenza privata, se gli studenti impediscono ai “colleghi” in disaccordo e ai professori di varcare la soglia dell’istituto, e se materialmente rendono impossibile fare e seguire le lezioni. Ma anche in questo caso è difficilissimo che si arrivi a un processo. Chi materialmente impedisce l’ingresso non viene quasi mai identificato. E, interpellando gli altri organizzatori della protesta, ovviamente, si ottengono risposte vaghe. Quindi la contestazione resta spesso contro ignoti, o anche nel caso di iscrizioni sul registro degli indagati, in assenza di episodi gravi, si avanza richiesta di archiviazione. Si procede invece per fatti paralleli, cioè per eventuali reati commessi nel corso delle occupazioni: sono pendenti alcune inchieste per spaccio e danneggiamento ma, anche in questi casi, l’interruzione di pubblico servizio è stata archiviata.
 

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