La maestra e la scuola ai tempi del Covid: «Quando i bimbi hanno difficoltà cercano affetto, ma dobbiamo mantenere le distanze»

La maestra e la scuola ai tempi del Covid: «Quando i bimbi hanno difficoltà cercano affetto, ma dobbiamo mantenere le distanze»
di Rosario Dimito
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Domenica 27 Dicembre 2020, 19:10 - Ultimo aggiornamento: 28 Dicembre, 06:27

Insegna in provincia di Rieti, a Talocci, in una scuola primaria. «L’anno scorso non ho lavorato perché ero in maternità e quest’anno mi hanno affidato una prima classe dove insegno Matematica, Educazione Motoria, Scienze, Geografia e Storia. E una terza classe dove insegno Italiano e Ed. Motoria». Deborah Italia, natia di Lucerna («ho vissuto lì dieci anni, poi i miei genitori sono tornati in Sicilia, in seguito mi sono trasferita a Roma per lavoro»), racconta la sua esperienza di maestra, in uno dei tanti paesi della provincia italiana che deve fare i conti con la pandemia.

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«Non è stato affatto semplice. La realtà è completamente cambiata. Parlo per me. Negli anni scorsi, i primi giorni di scuola portavo tutto il mio materiale e lo lasciavo in classe per consultarlo ogni volta che ne avevo bisogno. Quest’anno lo porto, ma sono costretta a fine lavoro a riportarlo a casa per paura che la scuola possa chiudere da un momento all’altro».

Ecco, chi ha la fortuna di lavorare in presenza specie a scuola, vive con l’incubo della quarantena. Ed è un assillo che condiziona.
«L’irruzione del virus covid-19 nella nostra quotidianità ci ha fatto smarrire i punti di riferimento consueti. Come afferma il filosofo Stétié “l’unico punto fermo è il punto interrogativo”», spiega Deborah che comunque ha un bagaglio culturale notevole, frutto anche di una laurea in arti e scienze dello spettacolo e degli studi magistrali in corso, in teatro cinema danza e arti digitali. «Insegno da circa dieci anni».


Si è trasferita a Tivoli per motivi affettivi, e quando ha iniziato era iscritta nelle graduatorie di Roma, poi ha cambiato provincia per lavoro. Adesso con il concorso straordinario del 2018, spera di rientrare nella provincia di Roma, mentre si sta preparando per il concorso ordinario.
«La terza l’ho trovata con molte lacune: l’anno scorso, a causa della chiusura improvvisa, non hanno potuto portare a termine la programmazione - prosegue l’insegnante -. È vero che si è cercato di fare, al meglio possibile, la didattica a distanza, ma i risultati non sono stati dei migliori. Quindi quest’anno, abbiamo ripreso la programmazione di seconda e iniziato a rilento con quella di terza. Ma questo al momento è il problema minore».

Già, allora quali sono gli ostacoli più grandi?
«In primis tutti, insegnanti e alunni portiamo la mascherina e può capire che significa per loro, a volte quando sono seduti consento loro di toglierla, devo dire che sono bravi e responsabili. Trovo più problematico il rapporto che stiamo instaurando con questi ragazzi. Sono delle creature. Noi, per loro, siamo delle seconde mamme e quando si trovano in difficoltà di fronte ad un nuovo argomento (o hanno dei disagi di qualsiasi genere) qualcuno si mette a piangere, qualcun altro si avvicina e ci chiede un abbraccio», dice Deborah che dal tono della voce tradisce la sensibilità di una fresca mamma. Nella veste di maestra però, non può cedere alla comprensibile fragilità umana.

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«Noi, se fino all’anno scorso lo consolavamo facendolo sedere vicino o abbracciandolo, quest’anno possiamo al massimo parlargli a distanza (di sicurezza) o mandarlo a sedere senza abbracciarlo, perché non possiamo. Si rende conto?». E’ un interrogativo carico di tensione (interiore). E Deborah ammette apertis verbis la complessità della situazione, cede all’emozione. «Ci sono momenti in cui vorrei piangere dal dispiacere perché sono mamma anche io. E vedere degli occhi innocenti che ti chiedono un semplice abbraccio e non poterlo dare è, per me, massacrante. Anche il rapporto tra loro è cambiato. Se a qualcuno mancava del materiale come gomma, colori, colla, forbici ecc. c’era sempre qualche compagno pronto a prestargli qualcosa. Se qualcuno si era scordato la merenda, c’era sempre un compagno che gli dava qualcosa di suo. Adesso tutto questo è impossibile. Nessuno può toccare il materiale dell’altro. Forse io e le mie colleghe saremo esagerate, ma non è semplice sapere com’è meglio muoversi, quale sia la cosa giusta da fare. Abbiamo delle grosse responsabilità. E pensi che usando queste precauzioni, una classe, due giorni prima delle feste di Natale è stata mandata in quarantena per un caso Covid all’interno».

Distanziamento, sicurezza sono regole ferree che valgono anche per i bambini e gli insegnanti devono fare la sentinella. Un compito tutt’altro che agevole. La ricreazione?
«Quei dieci, quindici minuti in cui i bambini si alzano, giocano, parlano si svagano. Nulla. Non c’è nulla di tutto ciò - rivela facendo intendere le altre difficoltà della scuola primaria al tempo del Covid -. Ovvio che non li teniamo attaccati alla sedia, ma dobbiamo continuamente controllare che non si tocchino, che non si avvicinino senza mascherina, che si siano disinfettati le mani ogni volta che hanno toccato qualcosa del loro compagno. E’ uno stress per noi e un forte disagio per loro. Per quanto riguarda la DDI (Didattica Digitale Integrata), nel mio plesso non è stata applicata al momento. E spero che non serva perché abbiamo un solo computer per tutte e 5 le classi, dovremmo quindi portare il nostro (ma qui si entrerebbe su altre problematiche). Al contrario della DDI, la DaD è stata applicata dal mio plesso. Le mie colleghe hanno usato quest’ultima con la classe andata in quarantena». Non dev’essere stata una passeggiata, chiaramente le difficoltà sono altre come racconta Deborah.

«È vero che la DaD ha consentito di sperimentare una didattica più libera, forse più coinvolgente ma ha anche accentuato le distanze creando i “dispersi digitali”». Una bella immagine idiomatica che rivela la preparazione e competenza di questa insegnante. «Da Marzo ad oggi ce ne sono ancora. Non tanto perché privi di dispositivi, perché a quello si è rimediato con le richieste dei genitori fatte all’istituto che si è adoperato a colmare questa mancanza, ma a causa delle connessioni instabili o inesistenti e che quindi usano l’hotspot o la “saponetta” Wifi (non tutti). Tutto questo comporta delle difficoltà per le video-lezioni».

Rispetto alla prima ondata dello scorso anno scolastico, com’è la situazione?
«Per carità, rispetto all’anno scorso ci sono stati miglioramenti. Se prima si usavano vari canali per comunicare, creando tanta confusione, adesso c’è un canale ufficiale. Noi per esempio usiamo Classroom e Meet. Ma anche le lezioni in queste stanze virtuali non sono semplici: sentiamo il fratellino dell’alunno piangere o giocare, la mamma che urla perché lo rimprovera, il bambino che si distrae continuamente per la confusione in casa».
 

Le interrogazioni? Come si fanno, se si fanno?
«Non puoi interrogarli davanti a tutti, perché non ci sono solo i compagni che ascoltano, ma anche tutti i genitori.

Quindi per la privacy devi creare una stanza virtuale a parte dove li inviti uno alla volta. E non è finita qui. Guardi mi viene da ridere, ma mi creda, succede. Ci sono genitori che si nascondono e suggeriscono pensando che noi non ce ne accorgiamo. Facciamo finta di nulla per non creare imbarazzo al bambino ma sappiamo benissimo se è farina del loro sacco o meno. Perché se il bambino durante la lezione in presenza non ha mai saputo nulla o poco, vedere improvvisamente che le cose le sa con la DaD, ovvio che c’è qualcuno dall’altra parte che suggerisce».

Anche questo fa parte della nuova vita scolastica da Covid. «Sicuramente un bambino più timido, insicuro, con la DaD acquista più sicurezza perché nella sua stanza non c’è nessuno, quindi si sente più sicuro, ma da lì a sapere improvvisamente tutto… mi scusi, ma non siamo stupide». 

Deborah, tiriamo i conti: cosa state facendo da marzo a oggi?
«Cerchiamo di ricreare delle routine che offrono agli alunni un ritmo che li aiuti a orientarsi e a minimizzare l’ansia. La durata della video lezione, il tempo per caricare il materiale ecc. Perché dobbiamo dire che alcuni di questi bambini, a causa della pandemia hanno iniziato ad avere disturbi del sonno, attacchi d’ansia, aumento dell’irritabilità. Io ho due bambini, uno di 12 anni che quest’anno va in seconda media e uno di 20 mesi che va al nido. Con il figlio maggiore sto avendo serie difficoltà a causa di questi malesseri scaturiti da questa riorganizzazione della vita. Mi creda non è semplice. Questi malesseri sono associati, anche, a quelli di noi genitori e stanno creando dei disturbi comportamentali e della sfera emotiva. Sta diventando tutto assurdo. Le cose sono molto più complesse di quello che sembrano».

E’ così, la pandemia sta cambiando l’esistenza di grandi e piccoli, le conseguenze sono imprevedibili. «Si sono create delle reazioni a catena che spero si possano fermare - conclude Deborah -. Le varie realtà si sono intrecciate e al momento ci siamo dentro mani e piedi. Ci saranno sicuramente realtà meno complesse perché più organizzate, ma questa realtà che le ho raccontato esiste e va messa a conoscenza». 

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