L'orto spaziale GreenCube è tutto italiano, Nardi (Enea): «Alimenterà gli astronauti»

Progettato da un team interamente italiano, è lanciato con il razzo europeo Vega-C, successore del Vega base

L'orto spaziale GreenCube è tutto italiano, Nardi (Enea): «Alimenterà gli astronauti»
di Paolo Travisi
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Domenica 21 Agosto 2022, 21:36 - Ultimo aggiornamento: 23:06

È in orbita a 6.000 km dalla Terra, GreenCube, il primo esperimento di orto spaziale, progettato da un team interamente italiano, lanciato con il razzo europeo Vega-C, successore del Vega base. Il micro-orto, piccolo come una scatola, servirà a rendere più ricco il menù degli astronauti nelle future missioni spaziali, che potranno nutrirsi di un alimento fresco, coltivato tramite coltura idroponica a ciclo chiuso, fornita di illuminazione, umidità e temperatura controllate per adattarsi all’ambiente spaziale pressurizzato. GreenCube è un progetto che ha messo insieme le eccellenze della ricerca italiana, di cui abbiamo parlato con Luca Nardi del Laboratorio Biotecnologie di Enea che ha partecipato alla fase progettuale, sta seguendo l’attuale sperimentazione nello spazio e continuerà gli esperimenti sul micro-orto anche a terra.
 

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Come nasce il progetto di GreenCube?
«Nella missione organizzata dall’Agenzia Spaziale Italiana, c’era la possibilità di lanciare quattro Cube-Sat, satelliti a forma di cubo, così l’agenzia ha emesso un bando di partecipazione per progetti di ricerca italiani. Noi stavamo studiando da anni le modalità per far crescere vegetali nello spazio ed abbiamo pensato alla coltivazione di micro-verdure, raccolte tra 10 e 15 giorni dalla semina, che di solito sono usate dagli chef stellati per guarnire i loro piatti».
E perché queste micro-verdure hanno caratteristiche utili per chi vive nello spazio?
«Da uno studio condotto negli Stati Uniti si è scoperto che hanno una concentrazione di fitonutrienti da 4 a 40 volte superiore rispetto alle piante nello stadio adulto; hanno caratteristiche nutrizionali importanti, contengono molecole antiossidanti, fondamentali per la salute degli astronauti nello spazio che possono avere una concentrazione di nutrienti in uno spazio molto piccolo, consumando pochissima energia e acqua per la crescita».
La missione GreenCube è già iniziata?
«Lo scorso 13 luglio è stato lanciato il razzo vettore Vega-C, dove nella parte alta è posizionato il nostro satellite con GreenCube, costruito dai giovani ingegneri del Dipartimento di Ingegneria aerospaziale de La Sapienza di Roma coordinato da Paolo Marzioli, insieme ai docenti Fabrizio Piergentili e Fabio Santoni, mentre Enea ed il dipartimento di agraria della Federico II di Napoli si sono occupati della parte biologica, cioè della scelta della specie, il crescione.

L’esperimento del micro-orto è iniziato a meno di due settimane dal lancio del vettore, ma Enea ha effettuato ed effettuerà anche dopo la missione, una serie di prove sperimentali e test funzionali a terra per replicare quello avvenuto in orbita».


Si tratta del primo esperimento di micro-orto di questo tipo?
«È il primo esperimento al mondo con micro-verdure in un’orbita estrema, a 6.000 km di distanza, in cui non c’è schermatura dalle radiazioni del campo magnetico terrestre che agiscono in maniera diretta, mentre invece questo non avviene nelle coltivazioni sulla Stazione Spaziale Internazionale». 
Veniamo alle caratteristiche tecnologiche ed al funzionamento di GreenCube.
«La struttura ha un piccolo volume, dove c’è una camera di crescita per piante alta 10 cm, la base della piattaforma è 10x10cm, gli altri 20 cm ospitano sistemi elettronici di gestione e controllo del satellite. Alla base c’è un substrato specifico che serve per trattenere i semi ed imbibirli in condizioni di microgravità, cioè trattenere l’acqua per evitare che vada in giro per il satellite. Il cuore di GreenCube è costituito da una camera pressurizzata, all’interno della quale una serie di sensori monitora costantemente i parametri ambientali. Il sistema di controllo consente di regolare i principali fattori ambientali, come la luce, fondamentale per il senso di orientamento della pianta stessa, la temperatura e la distribuzione della soluzione nutritiva inserita in una siringa di 30ml che manda il liquido nel substrato dove dovrebbero crescere le piante».
Una coltivazione senza terra. Perché?
«Nello spazio gli astronauti possono portare materiale che occupa poco volume e devono poter recuperare le risorse utilizzate, come l’acqua, per cui lo spazio di coltivazione deve consentire sia recupero dell’acqua che il riutilizzo del substrato che ha grande ritenzione idrica, cioè non permette di disperdere l’acqua, per questo la coltura idroponica è stata la scelta migliore, un metodo che permette di erogare le giuste quantità nei giusti tempi».
Quanto durerà la sperimentazione?
«Sono gli ultimi giorni nello spazio poi dovremo testare nei nostri laboratori terrestri quanto avvenuto in orbita, per verificare i dati raccolti durante la sperimentazione e dunque i risultati raggiunti dal progetto GreenCube».
La crescita ed i dati sono costantemente rilevati e monitorati da terra, come sta andando la missione?
«Non posso rivelare informazioni sull’esito della sperimentazione perché ci sono accordi di riservatezza, ma posso dirle che il satellite sta funzionando bene, l’elettronica è stabile, il sistema continua a trasmettere foto della pianta ed una serie di parametri come temperatura ed umidità rilevati dai sensori a bordo».
Che impatto potrebbe avere sulle future missioni in orbita la coltivazione nello spazio?
«Le future missioni verso Marte dureranno dai 4 ai 6 mesi, oltre agli alimenti in scatola, avere un alimento fresco nelle piante è una soluzione ideale, perché queste contengono una serie di molecole importanti per il nutrimento degli astronauti e sono ricche di antiossidanti naturali. Inoltre le piante liberano ossigeno tramite la fotosintesi clorofilliana e le foglie sono in grado di filtrare l’acqua sporca e la liberano sotto forma di vapore acqueo. E poi rappresentano un supporto psicologico per gli astronauti, li aiutano a non sentirsi così lontani da casa, ma ad avere un organismo vivente che cresce insieme a loro».
 

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