Da qualche decennio, le neuroscienze cognitive e l'economia comportamentale suggeriscono che l'architettura delle nostre scelte non segue un metodo razionale, ma è spesso dettata da un passato evolutivo che ha scolpito i meccanismi che sovrintendono alle scelte del nostro cervello. Ben tre premi Nobel in economia sono stati assegnati a questo concetto di razionalità limitata nelle scelte decisionali, Simon (1978), Kahneman (1992) e Thaler (2017). A questi vanno aggiunti psicologi ed evoluzionisti, tra cui Gigerenzer e Nesse, i quali hanno spiegato che se abbiamo difficoltà a valutare il presente è perché questo ci pone di fronte a scelte evolutivamente non previste. Il nostro cervello, ben adattatosi al periodo in cui l'uomo viveva in piccole tribù nomadi di cacciatori-raccoglitori nella savana del Pleistocene, riesce a valutare la modernità solo con grande fatica, commettendo «errori sistematici di valutazione» chiamati bias cognitivi. Questi, secondo la psicologia evolutiva, sono frutto del fatto che il nostro cervello si è plasmato per millenni secondo i problemi tipici della sopravvivenza nella savana - fuggire dai predatori, competere con gruppi rivali, prendere decisioni a breve termine basandosi su dati scarsamente complessi - e poi non ha avuto il tempo di adattarsi al cambiamento, alle conquiste, ai problemi delle società complesse e tecnologiche.
Ecco perché la scienza e i suoi dati contro-intuitivi sono difficili da capire per il nostro cervello. Ce lo suggerisce la storia evolutiva assieme alla storia recente, costellata di scelte irrazionali che ci hanno condotto a guerre, epidemie e carestie. Per questo noi oggi spesso sbagliamo nel valutare le probabilità, i rischi e le innovazioni scientifiche come i vaccini e gli Ogm, o fenomeni come la Xylella, o le pseudo-cure come l'omeopatia. Eppure potremo affrontare le sfide del futuro solo se collettivamente saremo in grado di laicizzare le decisioni, compiere scelte razionali, basate su prove, utili al bene comune, e che possano essere accettate dai più.
Far familiarizzare i cittadini, a partire dai giovani, con i bias del nostro cervello, per assicurarci un futuro migliore, è la sfida di oggi. Nel modo in cui la politica sta iniziando a usare questi limiti cognitivi, abbinandoli a strumenti di profilazione di massa delle preferenze individuali ieri inimmaginabili, c'è il pericolo di una totale divaricazione tra narrazione e percezione della realtà. Il metodo scientifico è un portentoso antidoto a questo scenario, ma per farlo funzionare dobbiamo essere tutti costantemente allenati, a partire dalle elementari. Dalla capacità di discernimento di ciascuno passa il confine tra la costruzione di una società democratica e libera improntata all'innovazione o un regime populista governato da istinti, oscurantismo e tribalismo identitario.
* Docente alla Statale di Milano
e Senatrice a vita
** Università Vita-Salute S. Raffaele, Milano
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