«Mi chiamo Rasel Miah»: il bambino arrivato dal Bangladesh "muto" ora è un medico di famiglia a Mestre

Ecco la storia del medico di origine bengalese

«Mi chiamo Rasel Miah»: il bambino arrivato dal Bangladesh "muto" ora è un medico di famiglia a Mestre
di Raffaella Ianuale
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Venerdì 31 Marzo 2023, 12:11 - Ultimo aggiornamento: 2 Aprile, 08:57

Aveva undici anni quando si è presentato in seconda media. Non conosceva nemmeno una parola di italiano e tra le mani stringeva il vocabolario che gli aveva appena regalato il papà. Pagine a metà tra bengalese e italiano, un dono amorevole del genitore affinché quel figlio, appena arrivato dalla parte opposta del mondo, potesse farcela. Entrato in classe spiaccica solo un "ciao" seguito da "mi chiamo Rasel Miah", poche parole imparate a memoria la sera prima. Le lezioni in classe però erano nebbia confusa ed è stato così per giorni e giorni. Ci vorranno tre mesi prima di riuscire ad aprire un varco tra la foschia e trasformare quei suoni ignorati in parole con un significato. Questo non gli impedirà, due anni dopo, di concludere le scuole medie, frequentate alla Don Milani della Gazzera a Mestre, con l'Ottimo. E a 18 anni di diplomarsi al liceo scientifico-tecnologico Stefanini, sempre a Mestre, con 100 e lode, l'unico di tutta la scuola. Questo percorso iniziato in salita si trasforma in trionfo nel marzo 2019 quando consegue la laurea in Medicina e chirurgia a Padova, il primo medico di origine bengalese laureato nel Veneziano e il quarto in Italia. Seguono i tirocini nei reparti degli ospedali, il superamento dell'esame di Stato, l'abilitazione, l'impegno in prima linea durante la pandemia nei centri Covid dell'Ulss 3 Serenissima. Ora, a 31 anni, Rasel Miah, papà che lavora alla Fincantieri di Porto Marghera e mamma casalinga, prenderà servizio come medico di famiglia nell'ambulatorio di viale San Marco 184 a Mestre al posto del dottor Diego Turchetto andato in pensione.

Dottor Rasel Miah, cosa si aspetta da questo incarico?

«Quando faccio una buona cosa la comunità bengalese è molto felice, io spero che anche gli italiani siano orgogliosi e possano dire "è anche figlio nostro perché lo abbiamo cresciuto pure noi", quindi mi auguro di poter rappresentare entrambi i paesi al meglio».

Chi saranno i suoi pazienti?

«Sto frequentando il corso di specializzazione in Medicina generale e posso seguire fino a mille pazienti.

Dal primo aprile chi lo desidera potrà iscriversi nel mio ambulatorio tramite lo Spid o recandosi al distretto sanitario e da lunedì 3 aprile sarò operativo, assieme ad altri colleghi, nella medicina di gruppo di viale San Marco a Mestre».

Facciamo un passo indietro, come è arrivato in Italia?

«Mio papà Sultan si trovava in Italia già da un paio di anni, aveva trovato impiego alla Fincantieri di Porto Marghera. Così attraverso il ricongiungimento familiare nel 2003 siamo giunti a Mestre io, assieme a mamma Rowsona, a mio fratello minore Rubel, mentre il più piccolo della famiglia, Rifath, è nato qui nel 2009».

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Lei ha la cittadinanza italiana?
«Sono qui da vent'anni e ne ho diritto. Ho già fatto domanda, ma servono molti documenti che si trovano in Bangladesh e io non sono più tornato nel mio paese di origine».

Non è più stato in Bangladesh?

«No, quando mi sono laureato volevo andarci, ma è scoppiata la pandemia che ha bloccato tutto. Ora penso sia giunto il momento, non so quando, ma presto tornerò. Anche perché vorrei aiutare come medico le popolazioni povere del Bangladesh».

E del suo arrivo in Italia cosa ricorda?
«All'inizio avevo un po' di nostalgia, mi mancavano i miei cugini con i quali giocavo. Ma qui ero con i miei genitori e i miei fratelli, questo mi ha aiutato molto».

E i primi giorni a scuola?

«Non sapevo la lingua italiana, facevo fatica, parlavano troppo veloci. Però sono stato molto bene alla scuola media, con i compagni, ma soprattutto con i miei insegnanti. La prof di italiano è stata molto presente. Mi dava piccoli compiti per casa, come imparare i verbi e io eseguivo tutto quello che diceva. Nel giro di sei mesi capivo abbastanza bene».

I suoi genitori cosa dicono?

«I miei genitori sono le persone più felici che ci possano essere, sono orgogliosi ogni volta che ottengo dei risultati. Papà lavora da ventisei anni in Fincantieri, la mamma è casalinga. Hanno fatto sacrifici per farmi studiare e per fare studiare anche i miei fratelli. Il secondo frequenta la facoltà di Chimica e tecnologia farmaceutica all'Università di Padova, il piccolino è in terza media e il prossimo anno andrà al mio stesso liceo».

Parla ancora il bengalese?
«Sì benissimo, in casa parliamo solo bengalese, poi quando esco faccio switch e passo in modalità italiano».

Sposato?

«Sono sposato con il rito religioso, quello islamico, e a breve farò anche il rito civile in Comune a Venezia. Anche lei è di origine bengalese e sta preparando la tesi in Farmacia all'Università di Padova».

Vuole lanciare un messaggio?

«Qui i bengalesi fanno lavori semplici, ma è solo questione di tempo e io ne sono l'esempio. Ora sento di avere una bella responsabilità: ho mille persone da curare e da tenere in salute. Ho ricevuto tanto dalla vita, amo Mestre-Venezia, la mia città e sono felice di lavorare qui. Mi considero un cittadino bengalese, ma anche un figlio d'Italia. Ho avuto molto da questo paese e spero di poter restituire qualcosa».

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